Il tennis è uno sport antichissimo, già nel Medioevo si praticavano attività che prevedevano l’uso di racchette e palline, ed è stato fin da subito un’attività facile da praticare, ma anche appassionante da vedere. Ma c’è una data precisa in cui il tennis è diventato lo sport che tutti noi oggi conosciamo, capace di regalarci sfide entusiasmanti tra i i più grandi campioni del mondo: il 22 aprile 1968. È il giorno in cui è ufficialmente cominciata la cosiddetta “Era Open”, anche se già dall’anno prima qualcosa aveva cominciato a muoversi.

Oggi non ci facciamo tanto caso a cosa intendiamo realmente quando parliamo di “Australian Open”, “US Open” oppure “Open di Francia” (che sarebbe il Roland Garros). Sono in tanti a non sapere il perché di quella parola, “open”, associata al nome della nazione in cui si gioca. Probabilmente molti pensano che quei tornei si chiamino così perché si gioca all’aperto, ma in quel caso il termine appropriato sarebbe “Outdoor”. No, nel tennis la parola “open” ha un significato storico ben preciso e per capirlo dobbiamo fare riferimento proprio a quel 22 aprile 1968, ma non prima di aver fatto un passo indietro al periodo antecedente, a quella che ora viene definita era pre-open.

L’era pre-open del tennis

I tennisti sono stati considerati a lungo dei dilettanti, anche se dedicavano tutto il loro tempo a questo sport, agli allenamenti, ai tornei, ai viaggi. Insomma, per loro era un vero e proprio lavoro, ma non erano riconosciuti come veri professionisti del mestiere e guadagnavano poco, perché i montepremi dei tornei erano ben lontani da quelli a cui siamo abituati oggi. Possiamo dire che guadagnavano anche in “nero”, nel senso che molti compensi li ricevevano di nascosto.

Negli anni Venti è cominciata la distinzione tra giocatori dilettanti e professionisti ed è durata per oltre quarant’anni. In realtà solo dal 1948 il professionismo ha cominciato a essere organizzato in una forma accettabile grazie a Jack Kramer. In pratica, mentre i dilettanti erano gestiti dalla federazione del proprio Paese, i professionisti erano invece gestiti da dei promoter, che organizzavano gli incontri e consentivano agli atleti di guadagnare molto di più. Tuttavia il professionismo era considerato sostanzialmente fuori legge e di conseguenza i professionisti non erano ammessi né ai tornei tradizionali, né alla Coppa Davis.

Possiamo dire che la distinzione tra dilettanti e professionisti ha in qualche modo “falsato” le classifiche di quei tempi. Per esempio il tennista italiano che ha raggiunto finora la più alta posizione in classifica è Nicola Pietrangeli, che è stato il numero 3 del mondo, ma nell’era pre-open. Questo significa che non poteva essere realmente considerato il terzo miglior tennista del mondo, perché in quella classifica mancavano i professionisti, che erano certamente tra i più forti. Inoltre, poiché professionisti e dilettanti non si scontravano tra di loro, non è possibile dire chi fosse davvero il migliore.

Per fare qualche altro esempio, i celeberrimi Fred Perry e René Lacoste, che dopo il tennis si sono dedicati all’imprenditoria e ancora oggi i loro brand di abbigliamento sportivo sono famosi e amati in tutto il mondo, hanno vinto diversi titoli dello Slam, negli anni Venti il francese e negli anni Trenta il britannico, ma poi, una volta diventati professionisti, non li hanno più potuti disputare. Inoltre, più che i tornei veri e propri, a essere davvero remunerativi per loro erano i match uno contro uno, quelle che oggi sono delle semplici esibizioni che attirano molto meno l’attenzione di una finale di un torneo qualsiasi. Pensiamo per esempio al fatto che, al giorno d’oggi, vedere Roger Federer e Rafael Nadal sfidarsi in una esibizione (come fanno spessissimo, ma solitamente per scopi benefici) fa molto meno notizia che vederli affrontarsi in una finale anche di un torneo ATP 500, senza nemmeno scomodare i Masters 1000 o gli Slam.

Ebbene, nell’era pre-open era esattamente il contrario. Perry, per esempio, per la vittoria al torneo U.S. Pro Tennis Championships del 1938 guadagnò solo 450 dollari, mentre un tour in Nord America in cui affrontò solo lo statunitense Ellsworth Vines gli valse ben 91mila dollari. Una differenza notevole che spiega come il tennis dell’era pre-open, da un punto di vista economico, era profondamente diverso da quello di oggi.

C’erano però anche dei campioni che preferivano non rinunciare ai tornei importanti, all’agonismo, accontentandosi di guadagnare meno pur di disputare ogni anno Wimbledon o il Roland Garros. Tra quei campioni c’è anche il nostro Nicola Pietrangeli. Nel 1960, dopo la doppia vittoria al Roland Garros e la semifinale a Wimbledon, firmò un contratto per diventare professionista proprio con Jack Kramer come promoter, ma l’idea di non giocare più i tornei che davvero contavano per un atleta, inclusa la Coppa Davis cui ha sempre tenuto moltissimo, lo fece tornare sui suoi passi e preferì restituire l’acconto di 5000 dollari, restando tra i dilettanti.

Il 22 aprile 1968 comincia ufficialmente l’Era Open

Ora che sappiamo che “danni” può aver fatto la divisione tra professionisti e dilettanti nel tennis, togliendo spettacolo ai tornei e anche tante soddisfazioni ai giocatori, possiamo capire perché quel 22 aprile 1968 è stato così importante. Quel giorno si è svolto il primo incontro dell’Era Open tra l’australiano Owen Davidson (in foto) e lo scozzese John Clifton. Clifton segnò il primo punto, ma a vincere il match per 6-2, 6-3, 4-6, 8-6 fu Davidson. Era il primo turno dei British Hard Court Championships di Bournemouth e da quel momento niente fu più come prima. Tutti i giocatori erano uguali, non c’era più distinzione tra professionisti e dilettanti, tutti potevano partecipare agli stessi tornei e tutti potevano guadagnare giocando a tennis.

Già nel 1967 i dirigenti di Wimbledon avevano deciso di aprire le porte ai professionisti, nonostante l’establishment tennistico avversasse questa loro scelta. Ancora una volta il torneo britannico, cui la storia del tennis è indissolubilmente legata fin dalle origini, aveva fatto il passo decisivo, aveva mostrato a tutti che era il momento di cambiare. E così, dall’anno successivo, la federazione tennistica internazionale aprì tutti i tornei ai professionisti e garantì dei montepremi adeguati. Poi nel 1972 con la nascita dell’Association of Tennis Professionals (ATP) il tennis è diventato una volta per tutte quello che conosciamo e ammiriamo ancora oggi.

Con la “apertura” del 1968 il tennis ha riacquistato la sua credibilità e ha dato il via a una vera e propria esplosione di questo sport dal punto di vista della diffusione e della popolarità. Da quel momento gli atleti più forti sono diventati dei veri e propri divi, basti pensare a Björn Borg, John McEnroe, Ivan Lendl e anche al nostro Adriano Panatta negli anni Settanta-Ottanta, a Pete Sampras e André Agassi negli anni Novanta, fino ad arrivare ai giorni nostri con Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic che, essendo i tre con più titoli dello Slam nel proprio palmarès, ancora per qualche anno si contenderanno il titolo di The GOAT, the Greatest of All Times (il più grande tennista di tutti i tempi).