La miglior Juve in trasferta del girone di ritorno l’abbiamo vista post lockdown, prima a Bologna e poi con il Genoa. Ed è vero che la sfida non era così complessa, che tre prodezze così, tre “arcobaleni nel cielo di Genova”, non capiteranno più nella stessa partita, ma quelle tre perle fanno seguito a una ricerca del gol insistita già nel primo tempo. Sono splendide, uniche, ma non un caso.

È stata una di quelle serate affascinanti e pericolose: all’ebbrezza di vivere novanta minuti e i commenti post partita in totale serenità, tutti uniti e felici, rivalutazione del tecnico, dei dirigenti, della rosa, del pensiero che se una squadra può fare entrare Higuain, Douglas Costa, Matuidi e, quando starà bene, Chiellini, forse non è proprio tutto da buttare come appare scontato dopo ogni passo falso.

Il pericolo, già accennato la settimana scorsa, va ribadito con maggior forza dopo un 4-0 e un 3-1 così abbacinanti, una serie di gol meravigliosi e tante grandi prove individuali, a partire dai due uomini del presente, ben prima che del futuro: de Ligt e Bentancur. Per esempio, arriva il Toro: uno guarda le partite dell’altro giorno, con la Lazio che dopo lo svantaggio iniziale mette sotto agilmente i granata, spariti dopo il primo tempo, riguarda i nostri gol e le tante occasioni e pensa che sì, sarà tutto facile, in fondo il derby lo vinciamo quasi sempre, questo è un Toro spuntato ed è quasi inutile giocarla. E io li conosco, i derby: quante volte, con una differenza di mille punti in classifica, abbiamo prevalso all’ultimo secondo, un giorno con un tiro al volo di David, un altro con una botta di Pirlo senza senso quando eravamo in dieci e forse, a pensarci bene, un pari sarebbe potuto anche andare bene?

Qui il pari non basta, perché la Lazio è lì, l’Inter ci osserva speranzosa e il calendario non permette passi falsi. Ecco, il calendario: mi fa sempre sorridere quando, a dieci giornate dalla fine, si emettono verdetti definitivi. E in questo lo capisco pure, eh, perché vedere vincere sempre la stessa una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto (si fa fatica pure a scriverle) volte consecutive deve fare perdere la speranza anche ai più ottimisti, ma a noi dopo il derby tocca San Siro con il Milan, la micidiale partita contro l’unica italiana già ai quarti di Champions, il Sassuolo che ha fermato l’Inter e dominato a Firenze, lo spareggio con la Lazio e altre incognite fino all’ultima giornata. Come si fa a pensare che 4 punti siano già sufficienti, quando deve ancora succedere di tutto e siamo ancora in attesa delle infuocate polemiche arbitrali che faranno seguito a una vittoria della Juve in un match importante? Dove siete, veleni e sospetti? State aspettando noi, eh, lo so e non riesco a biasimarvi: per finire in prima pagina, non avete altra possibilità.

Testa al derby, allora. Con un saluto a Miralem Pjanic, alla sua buona prova di Genova, alla sua bella lettera, ai suoi tweet intelligenti, a tanti anni insieme in cui, me lo chiedo spesso, forse abbiamo sottovalutato lui come tanti altri (quante volte mi sono chiesto come avremmo ricordato Khedira, Asamoah, Lichtsteiner, insomma gli eroi di tanti scudetti e anni meravigliosi, in cui le prime pagine se le prendevano – giustamente, per carità – Tevez, Dybala, Ronaldo e compagnia). Insofferenti per un passaggio sbagliato, per qualche mese non al meglio, spesso sprezzanti verso chi sta con noi, e sarà difficile in futuro ricordare questo ciclo senza un sorriso, un po’ di nostalgia, parecchia incredulità: gli anni in cui vincevamo solo noi e talvolta neanche ce ne rendevamo conto.
C’è tempo per aspettare Arthur, c’è tempo per salutare Pjanic. E c’è tempo, caro Miralem, per un tuo arcobaleno nel cielo di Torino, magari già nel derby. Magari al novantesimo: sai, ci dipingono spesso come cinici e insensibili, ma a certe tradizioni teniamo particolarmente.