Sono pochissime le squadre che oggi rappresentano un esempio di squadra vincente, progetto stabile e straordinaria alchimia. I grandi club sono sostentati da bilanci talmente robusti da potersi permettere ogni genere di errore. L’Inter mira ad arrivare a questo livello ma la finale persa col Siviglia e le dichiarazioni di Antonio Conte, unite ad altri aspetti congiunturali, invitano a fare delle riflessioni nette e non più rimandabili.

L’Inter ha chiuso la stagione come seconda in Italia e in Europa League, un salto netto che è stato compiuto grazie a un inizio di stagione sfolgorante e un finale altrettanto valido. La finale ha dimostrato ancora una volta, che la squadra e l’allenatore hanno difficoltà a giocare partite decisive e contro avversari di livello elevato. Le uniche partite giocate bene contro squadre forti sono state col Borussia Dortmund all’andata, il Barcellona al Nou Camp, l’Atalanta nell’ultima di campionato, più lo Shakhtar in semifinale e benino con la Lazio all’andata. Escludendo i derby giocati con un Milan che da qualche anno non è una grande, tutte le altre sono state perse o pareggiate, al culmine di prestazioni isteriche o sottotono, tatticamente sbagliate e con un approccio alla gara del tutto inadeguato.

È un andamento persino fisiologico per una squadra con un 90% di giocatori non abituati a giocare per qualcosa di importante. Il percorso di questa stagione è un deposito di esperienza determinante per tutti. Conte ha perso contro Lopetegui. Il tecnico spagnolo ha fatto giocare meglio la sua squadra e ha tenuto più facilmente il pallino del gioco in mano. Siviglia con individualità forse meno forti (ma non molto) eppure con un centrocampo decisamente più snello e tecnico, opposto a quello robusto ma legnoso dell’Inter, oltre ad essere inferiore nella mentalità, come hanno dimostrato le prestazioni di Gagliardini e Brozovic, seguito in tutto il campo da un debordante (e maleducato) Banega.

La squadra ha giocato ben al di sotto del suo standard: una difesa che prende due gol di testa, oltre a uno su rovesciata con un giocatore lasciato libero di fare quello che voleva, sono la dimostrazione di un’inattitudine mentale. Tra l’altro i gol presi sono identici a quelli che il Siviglia aveva fatto al Manchester United, a dimostrazione che forse non erano stati fatti bene i compiti a casa. Ci sta anche questo nella crescita, ma Conte a fine partita ha ripreso il minuetto e stabilito di aver più di un piede fuori dall’Inter. I motivi possono essere più o meno validi ma la storia di questo allenatore parla di troppe turbolenze e addii improvvisi, dichiarazioni smodate, abbandoni di progetti e contrasti laceranti.

Se l’Inter fosse la società piena di problemi di qualche anno fa e Conte alla sua seconda esperienza, sarebbe più facile dare qualche ragione in più al tecnico, ma le sue ragioni vanno a sbattere contro la sua reputazione. La famiglia, le divergenze con la società, l’impossibilità di avere tutto e subito. Tutte cose già sentite e che cominciano a diventare stucchevoli se dopo un solo anno pensa di lasciare, come se si trattasse di andare via prima del previsto da un luogo di villeggiatura.

Il club ha investito tanto su di lui e per lui, 12 milioni a stagione, lasciando partire gente come Perisic e Nainggolan (oltre a Icardi), in nome di un modulo a tre per il quale ha poi compromesso anche Skriniar, quasi tutta la stagione Godin, salvo scoprire che era utilissimo e rinnegando l’acquisto di Eriksen. Se Conte fosse rimasto al posto di comando, sicuro delle sue idee e pronto a metterle in gioco con un progetto che lui per primo, solo 20 giorni prima aveva dichiarato di voler proseguire, in nome di una crescita che si è effettivamente registrata, sarebbe tutto lecito.

Lasciare l’Inter a metà del guado, dopo averla costretta a fare scelte nette e costringerla a ricominciare da capo, quando all’inizio della prossima stagione mancano solo 27 giorni, è una pugnalata. Sarebbe stato inaccettabile in una situazione normale, con tre mesi di tempo per preparare la nuova annata ma in queste condizioni è (o sarebbe) autentica superbia, una forma di egocentrismo e un potere che un uomo tanto pagato e così centrale in un progetto non deve avere. Massimiliano Allegri è pronto, ma ci sono 22 milioni in ballo che rendono le variabili molto più incerte. È una storia già capitata con la Juventus ed è finita bene ma le storie si ripetono se ci sono le condizioni.