Il giudizio che manca è quello più equilibrato. L’Inter non riesce storicamente a beneficiare di un privilegio che dovrebbe essere elementare. Ora che la squadra di Conte ha raggiunto la semifinale, dopo aver battuto il Bayer Leverkusen, i giudizi si sono ulteriormente annacquati, per raggiungere nuove forme, in prossimità di un finale interminabile.

Facciamo il punto partendo dal presupposto che la stagione, quasi al termine, parla di una prima parte pre-Covid, estremamente convincente, con lampi di gioco importanti come nella gara al Camp Nou col Barcellona e scandita da una lotta per il primo posto in linea con le aspettative.

Il crollo nella borsa della percezione si è avuta con l’eliminazione intollerabile dalla Champions, contro il Barça delle seconde linee. I primi pareggi banali in Campionato, le sconfitte negli scontri diretti contro Juve e Lazio, e l’andata in Coppa Italia persa col Napoli hanno fatto il resto. A febbraio dunque, prima che il virus cambiasse il pianeta, la stagione nerazzurra era stata riportata a terra con prepotenza.

Al rientro, nonostante le comiche premesse di una stampa che parlava di un ritorno al calcio condizionato e che non poteva essere giudicato con gli stessi parametri, si è assistito ad una sequenza di valutazioni ancora più trancianti e, se possibile, contraddittorie. L’Inter è stata eliminata dal Napoli, a seguito di una gara di ritorno comunque convincente ma ha balbettato in diverse partite e si è suicidata con Sassuolo, Verona e Bologna, perdendo una cifra complessiva di 7 punti praticamente fatti, i quali hanno pregiudicato una clamorosa rimonta.

Le ultime tre partite di Campionato hanno invece di nuovo ribaltato (letteralmente) il tavolo e portato ad un secondo posto che, alla vigilia della partita a Bergamo contro la squadra più in forma del Campionato, era dato quasi per perso. Poi, dopo le intemerate di Conte e le tensioni che suggeriscono ancora oggi un clamoroso cambio in panchina entro una o due settimane (Corriere della sera), l’Inter si sta facendo largo in Europa League con performance che prestano ancora il fianco a qualche piccolo dubbio ma più facilmente alle certezze di una squadra che, quando si pensava potesse sfaldarsi, si è ricompattata e lo ha fatto stringendosi intorno ad Antonio Conte.

La partita col Bayer ha mostrato quella formidabile capacità di produrre azioni pericolose in serie e, allo stesso tempo, di riuscire a sprecarle, mostrando il contrasto tra le azioni capitalizzate e quelle fallite dagli stessi giocatori. La sensazione è che, se Lukaku, Lautaro, Sanchez, Barella, Gagliardini, Brozovic falliscono i gol che potrebbero chiudere il match, è per la generosità con la quale la squadra corre perdutamente (i dati dicono, anche se i tifosi non ci credono, che l’Inter è la squadra che ha percorso nettamente più chilometri in questo campionato).

Conte è un grande allenatore e sta convincendo la squadra a dare tutto in campo, qualcosa che nel corso di questa annata è avvenuto per lo più un solo tempo, mentre ora c’è molta più uniformità. Non è chiaro se si tratti di una questione solo atletica perché sembra anche psichica e questo, se possibile vale anche di più.

La stagione è stata talmente anomala e lunga che ora l’Inter, anche se non raggiungesse la finale di Europa League, meriterebbe di essere giudicata senza l’inutile e stupida ferocia di questi mesi o l’euforia dei credenti, senza l’acredine e l’ottusità di chi l’ha condannata e deformata, di chi ancora oggi la esalta in eccesso o ridimensiona, qualunque cosa combini. L’Inter meriterebbe equilibrio e lo meriterebbe anche il gioco del calcio ma è solo una pretesa utopistica.