Se tutto ciò che di sconvolgente stiamo vivendo nelle ultime settimane non fosse mai accaduto, ieri si sarebbe disputata la 28esima giornata di campionato, con la Roma che avrebbe affrontato a San Siro l’insidioso Milan di Stefano Pioli. Chissà come sarebbe andata a finire. Da romanista incallita, voglio credere che avremmo espugnato il Meazza, magari con un secco 0-1 in virtù di una rete siglata da Edin Džeko, che avrebbe così festeggiato il trentaquattresimo compleanno tra le ovazioni e i cori scanditi dai suoi tifosi in trasferta.

Invece, dall’ultimo match dei giallorossi a cui abbiamo assistito, quello pirotecnico contro il Cagliari, con un bottino complessivo di sette reti, sembra essere passata una vita. A che punto siamo? Ancora fermi. Stavolta tutti, senza esclusione alcuna. Asserragliati nelle nostre case ad aspettare che venga diramato il nefasto bollettino delle 18, pregando di poterci abbarbicare a qualche numero foriero di speranza. Invece, sino ad ora, abbiamo raccolto soltanto numeri da brividi. Crescono i contagiati, sono ancora troppi i deceduti, ma fortunatamente un flebile conforto deriva dal numero dei pazienti dimessi. Questo virus ci sta sfiancando, non serve nasconderlo, ma la voglia di combatterlo e sconfiggerlo è sempre altissima.

Il calcio, nonostante l’atmosfera mesta che si respira nelle città, non è certo rimasto fermo a guardare. Oltre all’annuncio dei primi calciatori positivi – che comunque, sorprendentemente (ma sarebbe il caso di dire “stranamente”, perché a mio avviso molti casi non sono stati divulgati), risultano ancora pochi per una serie A composta da ben 20 squadre – si registra la “fuga” dall’Italia di alcuni giocatori, nonché la mobilitazione delle società, ma non solo, attraverso le fondazioni afferenti ai vari club, per sostenere ospedali, medici e infermieri impegnati in prima linea nella battaglia contro il coronavirus.

La Roma, per esempio, attraverso la fondazione Roma Cares, in questi giorni ha lavorato alacremente al fianco dell’assessorato alla Sanità della Regione Lazio, in una sorta di “braccio operativo” per fronteggiare l’emergenza, come dichiarato alla Gazzetta dello Sport da Francesco Calvo, Chief Operating Officer dei giallorossi. La raccolta fondi lanciata è arrivata a quasi 500.000 euro: si sono acquistati otto ventilatori polmonari e otto posti letto da destinare alla terapia intensiva, oltre a tredicimila mascherine e gel disinfettanti. Gli stessi giocatori della Roma, tra i quali, al momento, non risultano esserci positivi al Covid-19, hanno messo a disposizione l’equivalente di una giornata di lavoro, senza contare le numerose donazioni personali.

Oltre alla solidarietà, permane in vigore per tutti i tesserati l’impegno di allenarsi da casa, seguendo una dieta mirata, appositamente stilata per supplire all’inattività agonistica degli atleti, con la speranza di poter presto tornare a calcare il rettangolo verde. Un pensiero, questo, che con l’inesorabile passare dei giorni si fa sempre più utopico. Sono già molti i giocatori che paventano l’impossibilità di riprendere il campionato per poterlo portare a termine. La riflessione espressa qualche giorno fa, in una radio argentina, da Javier Pastore, spiega in modo eloquente su quali basi si fondino questi legittimi dubbi: “Servirebbero almeno venti o trenta giorni per prepararsi prima di poter ripartire quando l’emergenza sarà finita. La priorità, a quel punto, sarebbe quella di iniziare in tempo il nuovo campionato”.

La società stessa, che aveva sospeso ufficialmente gli allenamenti l’11 marzo, un giorno prima della sfida di Europa League contro il Siviglia, ha lasciato filtrare la propria opinione al riguardo: “Fermare la stagione e ripartire da zero ad agosto sembra essere la cosa più sensata da fare, pur consapevoli delle disastrose ricadute economiche che questa scelta avrebbe sul sistema calcio. Al momento la priorità è e resta per tutti la salute”.

Frattanto, nel tentativo di distrarsi un po’, gli amanti del calcio possono tuffarsi in qualche “amarcord” d’annata, o rifugiarsi nella lettura, rispolverando delle vecchie partite che hanno fatto sognare. Forse non tutti ricorderanno, ad esempio, che proprio quarant’anni fa, tre calciatori del Perugia, terminata la partita contro la Roma all’Olimpico, vennero scortati fuori dallo spogliatoio in manette e condotti in caserma per essere interrogati. Si trattava di Luciano Zecchini, Mauro della Martira e Gianfranco Casarsa, ma la stessa sorte toccò ad altri calciatori in molti stadi di calcio. L’allora presidente della Roma, Dino Viola, sgomento e bianco in volto, commentò l’accaduto direttamente con l’arbitro Casarin: “È arrivata la Finanza negli spogliatoi. È la fine del calcio”. Per sapere come terminò il procedimento giudiziario che segnò una delle pagine più buie ed avvilenti del nostro calcio, vi lascio alle vostre ricerche. Tanto il tempo, in questi giorni, non manca a nessuno. Ahinoi.