Si chiama Ruslan, non è più un bambino. La parabola di Malinovskyi, a 27 anni, è quella di un ex ragazzo che calcisticamente si è fatto uomo. E che rappresenta la mirabile sintesi dell’ennesima scommessa vinta dall’Atalanta. No, veramente una scommessa no, perché l’Atalanta di solito non scommette, va direttamente al cuore del problema. E lo risolve senza troppi giri di parole. Molto spesso arriva prima, scioglie le riserve quando gli altri hanno bisogno di pensarci ancora. E quando individua un talento dalle qualità indiscutibili lo punta, lo corteggia, lo segue almeno per cinque o sei partite di fila e lo porta a casa. Amen. È il caso di Ruslan che al Genk si sentiva ormai troppo piccolo rispetto al suo enorme desiderio di spiccare il volo nel calcio che conta (di più). Già, il famoso Genk di Milinkovic-Savic, evidentemente una bella fabbrica di ragazzi dalle qualità nettamente superiori alla media.

Quando si dice che in Belgio, in Olanda, in Polonia, in Repubblica Ceca spesso puoi pescare a basso prezzo gente che molto presto dimostrerà di valere il doppio oppure il triplo, di sicuro non sono discorsi campati per aria. Milinkovic-Savic per Lotito vale addirittura otto volte in più rispetto a quanto il numero uno della Lazio aveva deciso di investire: era costato circa dieci e adesso la richiesta è di almeno 80. Malinovskyi è stata un’operazione da circa 14 milioni con una percentuale del 10 per cento da garantire al Genk in caso di futura cessione, ma si è capito presto che quei soldi erano stati spesi benissimo.

Malinovskyi al potere è una scintilla che si accende. Tecnicamente sublime, tatticamente inquadrabile come trequartista alle spalle di una o due punte. Ha una qualità tale che potrebbe giocare in tutte le zone del campo negli ultimi 30 metri con gli stessi risultati. Modernissimo e rapido di pensiero, gioca a uno o due tocchi, il bello del suo repertorio è che ha già deciso, un secondo prima di ricevere il pallone, cosa fare e come farlo. Un genietto che non sai se affrontare dal primo minuto, quando potrebbe magari vivere il piccolo appagamento della maglia da titolare restando però un pericolo costante. Oppure in corso d’opera quando rischia di essere ancor più devastante, entrando fresco e facendo la differenza con la sua rapidità, con le sue trovate improvvise, un portento. Nel calcio da giocare ogni tre giorni diventa ancor più decisivo. Non a caso ha portato a casa due gioielli in questa fase molto densa di impegni: il missile terra-aria che consentì di riacciuffare la Lazio dallo 0-2 al 2-2 prima del completo sorpasso; la giocata da artista innato che aveva illuso l’Atalanta di poter sbancare casa Juve. Guardate la semplicità di uno che è nato con questo talento: contro la Lazio un controllo e subito una sventola all’incrocio, senza pensarci troppo e puntando sulle sue innate qualità balistiche; contro la Juve un feeling immediato con Muriel, un altro che spesso sale sul treno in corsa partendo dalla panchina e trova traiettorie bellissime, soprattutto se accanto a lui c’è chi parla la stessa lingua dal punto di vista tecnico.

Ucraino un po’ introverso ma molto concreto, Ruslan è subito diventato un punto di riferimento fisso di Andriy Shevchenko, evidentemente non l’ultimo della compagnia. Da ct alla ricerca di certezze assolute, una l’ha trovata proprio in Malinovskyi dandogli la patente di titolare fisso e non cambiando minimamente idea. Il ragazzo era un segnalato speciale fin dai tempi dello Shakhtar, soltanto che ha vissuto molto sull’altalena la fase dell’adolescenza. Grande talento ma non nel segno della continuità, numeri di spessore senza la necessaria e invocata maturità fatta di sei o sette prestazioni dello stesso livello e nel rispetto del suo enorme potenziale. Ma funziona spesso così in tutto il mondo: a 22 o 23 anni potresti essere già un crack, invece ne giochi una bene, un’altra benino, un’altra così così e un’altra da 5. Non il massimo per spiccare il volo, un decollo rinviato e che magari arriva a 25 o 26 anni, un po’ in ritardo rispetto alla tabella di marcia.

La forza di Ruslan è sempre stata quella di aver avuto il massimo rispetto da Shevchenko, che aveva deciso di puntarci a prescindere. E poi anche dal Genk, che aveva deciso di riscattarlo dallo Shakhtar malgrado una stagione condizionata dagli infortuni e che avrebbe portato chiunque a porsi qualche domanda sulla necessità di puntarci ancora. Era il luglio 2017: è vero che due milioni non sono una cifra da far saltare il banco o da creare problemi di bilancio, però in Belgio decisero di metterli sul piatto e quella scelta fu fondamentale per dare serenità al ragazzo. Se fosse tornato in Ucraina, avrebbe dovuto trovare un altro amatore, probabilmente sarebbe trascorso altro tempo aspettando chissà quale svolta. Le stagioni con il Genk sono state formidabili: luglio 2017-luglio 2019, i due anni necessari per salutare la sua ex casa e per accettare la proposta dell’Atalanta. A quel punto Mali aveva già svoltato: continuità di rendimento, gol e assist, personalità vera, la Serie A sarebbe stato il suo habitat naturale.

La fortuna è anche quella di avere un allenatore come Gasperini. Cosa gli ha insegnato il nuovo maestro? Semplicemente ad avere la stessa fiducia, la stessa fame quando gioca da titolare oppure quando entra dalla panchina. E l’esperimento non è più tale, piuttosto rappresenta una certezza. Chi conosce bene le segrete cose atalantine è pronto a giurare che la coppia Muriel-Malinovskyi, salendo sul treno in corsa e con i ritmi più bassi, diventi devastante quasi come la premiata ditta Gomez-Zapata che garantisce pentole e coperchi dal primo minuto. I numeri lo dicono. La fortuna di Ruslan è anche quella di avere il fiato sul collo di un autentico maestro della panchina che se lo mangia vivo quando le giocate non sono quelle giuste. Dopo il pareggio in casa dell’Inter lo incenerì con un paio di sguardi per via di alcuni passaggi sbagliati che avrebbero potuto consentire all’Atalanta di portar via l’intero bottino: non osiamo immaginare cosa sarà accaduto nelle segrete stanze dello spogliatoio. Se stai un anno con il Gasp, dopo essere stato abituato ad allenatori più blandi e meno esigenti, è come se facessi tre anni di Università in uno. Impari, studi, rifletti, correggi gli errori, perfezioni la tua personalità, un’inversione totale sull’autostrada. Se prima andavi a 100 chilometri orari, il rischio (un bel rischio) è di filare a 180, ben oltre i limiti di velocità, ma nel rispetto dell’andatura invocata da Gasperini che chiede – pretende – qualcosa in più per non essere un comune mortale qualsiasi del mondo del pallone.

Ben vengano i Malinovskyi dal mercato, molto più di pezzi da 40 o 50 milioni che magari qualche volta ti lasciano a spasso. Il Milan negli ultimi anni ha speso tantissimi soldi senza avere un ritorno eccellente, il primo esempio che ci viene in mente è quello di Paquetà costato molto più del doppio rispetto al ragazzo ucraino. Sarebbe stato meglio investire su Malinovskyi piuttosto che su chi arriva in Italia per lo sfizio di un dirigente (Leonardo) che poi decide di lasciare quel club per tornare a Parigi lasciandoti con un mucchio di coriandoli in mano. I Malinovskyi fanno squadra, sono più utili, non ti fanno svenare, piuttosto appartengono al nuovo modo di pensare calcio, ovvero che hai bisogno di almeno 17-18 titolari tutti all’altezza anche se qualcuno parte dalla panchina. Il mix dell’Atalanta è un manifesto in questo senso: Ilicic-Gomez-Zapata come antipasto, poi c’è Pasalic, quindi Muriel con il contorno di Malinovskyi; qualcuno a simili rotazioni non ha resistito (vedi Barrow che ha preferito il posto fisso al Bologna) ma si tratta di eccezioni.

La realtà consolidata vuole che, mettendo due o tre Ruslan nel motore, si possa alzare l’asticella in modo da renderla irraggiungibile per gli altri. Il metodo Atalanta dovrebbe essere copiato e studiato con maggiore attenzione, non semplicemente per le plusvalenze che riesce a garantire senza soluzione di continuità, ma per la ricerca del dettaglio in giro per il mondo: dai Castagne agli Hateboer, passando per Gosens o chissà per chi. E all’improvviso spunta il signor Malinovskyi quello che – lo dicevano senza scrupoli – sarebbe rimasto un’eterna incompiuta o poco più. Sentenze affrettate, senza un briciolo di coerenza e forse di competenza. Oggi il titolo del film è un altro, una prima visione a Bergamo e dintorni. Il titolo del film è “Malinovskyi al potere”, quasi come se si trattasse di una risposta a tutti i santoni che avevano certezze sul fatto che la sua carriera non avrebbe avuto uno snodo così importante.

Da Milinkovic-Savic a Malinovskyi: se questi sono i risultati, a prezzi quasi stracciati con una resa da mille e una notte, sarebbe il caso di studiare il Genk per i prossimi talenti (ce ne sono tanti) da mandare in rampa di lancio. Magari l’avrà fatto o lo farà ancora l’Atalanta, nel bel mezzo di un quesito che sembra quasi uno scioglilingua: meglio Ruslan dal primo minuto oppure da lanciare in corsa quando gli altri sono stanchi morti e non saprebbero come acciuffarlo? Date a Gasperini tanti quesiti del genere, le sue risposte in campo valgono più di qualsiasi promessa spesso non mantenuta da qualche suo collega. La morale è: meglio mezz’ora di Malinovskyi, non obbligatoriamente dall’inizio, piuttosto che un’ora e mezzo di noia mortale. E quella mezz’ora, molto spesso, comprende il prezzo dell’intero biglietto.