Di Redazione William Hill News
19 Maggio 2020
Una leggenda del basket compie oggi 44 anni: siamo parlando di Kevin Garnett, che proprio nel 2020 è stato inserito nel Naismith Memorial Basketball Hall of Fame insieme con Tim Duncan e Kobe Bryant che, come lui, si sono ritirati nel 2016. Il suo destino non poteva essere diverso, visto che è uno dei giocatori più importanti della storia dell’NBA, tanto da meritarsi, tra i suoi tanti soprannomi, quello di “The Revolution”, perché con il suo fisico e il suo modo di giocare è stato davvero rivoluzionario e ha aperto la strada per il positionless basketball a cui oggi siamo ormai abituati, ma che negli anni ’90 di fatto ancora non esisteva.
E Garnett ha cominciato a essere rivoluzionario fin da subito. Al liceo era già un fenomeno, sempre giocatore dell’anno, con una media punti oltre i 25 a partita. E così, nel 1995, quando aveva 19 anni, è successa una cosa che non accadeva esattamente dall’anno prima della sua nascita, ossia ha fatto il salto diretto dal liceo all’NBA. Al Draft NBA 1995 è stato così chiamato con la quinta scelta dai Minnesota Timberwolves, che a quei tempi era una squadra ancora giovane e acerba.
È bene spiegare subito che tipo di squadra fossero i Timberwolves prima dell’avvento di Garnett per capire poi meglio l’impatto che questo giocatore ha avuto sul team e sul basket in generale. La franchigia del Minnesota aveva esordito in NBA nella stagione 1989-1990 e fino al 1994-1995 non era mai riuscita a vincere più di 29 volte a stagione. Una vera e propria Cenerentola che ha trovato in Garnett la sua fata madrina: 211 cm di pura magia, un fisico longilineo che gli permetteva di essere un giocatore estremamente versatile, in grado di giocare come ala grande, il suo ruolo naturale, ma di sapersi adattare benissimo anche come ala piccola e centro. Bravo tanto a difendere quanto a segnare punti.
I Timberwolves ci avevano visto lungo. Con il loro budget non potevano aspirare a grandi campioni, quindi dovevano andarsi a cercare dei “futuri campioni” sfruttando le scelte nel draft e con Garnett ci hanno preso in pieno, andandolo a pescare appena fuori dal liceo, senza la necessità di fargli fare altra esperienza al college. Con i suoi 19 anni e 11 mesi era il giocatore più giovane della storia dell’NBA fino ad allora e nel primo anno da rookie giocò poco, ma bene, con una media di 10,4 punti, 6,3 rimbalzi e 1,8 assist a partita. Questa media si alzò moltissimo nel suo anno da sophomore: nella stagione 1996-1997 portò a 17 la media dei punti, 8 quella dei rimbalzi, 3,1 quella degli assist e fece anche due partite da 8 stoppate l’una. Per i Timberwolves la vita cominciò a cambiare: ottennero un record di 40 vittorie e 42 sconfitte e finalmente, per la prima volta nella loro storia, si qualificarono ai playoff. Garnett ottenne anche la prima delle sue 15 convocazioni all’All-Star Game.
I numeri di una carriera straordinaria
Kevin Garnett è stato un vero e proprio trascinatore dei Minnesota Timberwolves: con lui la squadra è, infatti, riuscita ad arrivare per otto volte consecutive ai playoff. Questa sua qualità gli è valsa altri soprannomi come “The Franchise”, perché era l’uomo-franchigia (i Timberwolves erano sostanzialmente Kevin Garnett), e “The Big Ticket”, perché era la grande attrazione, il giocatore che, da solo, valeva tutto il prezzo del biglietto. Per questo nel 1997 la squadra di Minneapolis gli ha fatto un contratto da 126 milioni di dollari in sei anni, un contratto che è stato poi usato come pretesto per il lockout che ha condizionato la stagione 1998-1999.
Garnett ha collezionato tantissimi premi individuali ma, nonostante una carriera straordinaria, nel suo palmarès troviamo “solo” la medaglia d’oro con la nazionale USA alle Olimpiadi di Sydney 2000 e un titolo NBA vinto nel 2008. Ha pagato il fatto di essere rimasto per molti anni a Minneapolis, dove, però, è diventato una leggenda. L’anello NBA per lui è arrivato dopo il trasferimento ai Boston Celtics, con i quali è rimasto dal 2007 al 2013. Per due stagioni è stato poi ai Brooklyn Nets, fino al 2015, infine ha chiuso la carriera tornando per la sua ultima stagione ai Minnesota Timberwolves.
Se l’elenco dei successi di squadra è brevissimo, quello dei titoli individuali, invece, è lunghissimo. Ma i riconoscimenti più importanti meritano di essere citati: nel 2004 è stato MVP dell’NBA, nel 2003 MVP dell’All-Star Game, per quattro volte è stato inserito nel quintetto ideale dell’NBA e per altre tre nell’All-NBA Second Team, mentre per due volte è stato nell’All-NBA Third Team. Nel 2008 è stato eletto difensore dell’anno e per ben nove volte è stato nell’All-Defensive First Team e altre tre nell’All-Defensive Second Team; infine, per quattro volte di fila, dal 2004 al 2007, è stato il migliore nei rimbalzi.
È stato l’unico giocatore NBA a collezionare almeno 25mila punti, 10mila rimbalzi, 5mila assist, 1500 palle rubate e 1500 stoppate. È stato anche l’unico a raggiungere una media di almeno 20 punti, 10 rimbalzi e 5 assist a match per sei stagioni consecutive. Inoltre è stato l’unico ad avere una media di almeno 20 punti, 10 rimbalzi e 4 assist a match per nove stagioni consecutive. Per cinque stagioni consecutive è stato il migliore nei rimbalzi difensivi, un primato, questo, che gli è stato poi “soffiato” da Dwight Howard. È stato anche il primo giocatore NBA a vincere il premio di migliore del mese per quattro volte in una singola stagione, ma questo record è stato migliorato, in anni recenti, da LeBron James che ci è riuscito per due volte.
Kevin Garnett in campo è stato un giocatore molto carismatico che si faceva spesso prendere dalla foga del momento e talvolta litigava anche con i compagni di squadra. Fuori dal campo, però, è sempre stato molto altruista e impegnato nel sociale: per questo nel 2005-2006 ha ricevuto il premio J. Walter Kennedy Citizenship Award.
Kevin Garnett: che cosa fa oggi?
Dopo il ritiro dal basket giocato, Kevin Garnett ha cominciato una carriera da commentatore televisivo nel celebre programma post-partita “Inside the NBA” sul canale TNT, in cui ha avuto anche un suo speciale segmento intitolato “Area 21”. In seguito ha cominciato a fare il consulente per squadre importanti come i Los Angeles Clippers e i Milwaukee Bucks. Inoltre si è dedicato al cinema: aveva già recitato nel 1996 nel film “Rebound – La vera storia di Earl ‘The Goat’ Manigault”, interpretando il piccolo ruolo del giovane Wilt Chamberlain, ma nel 2019 ha avuto un ruolo più importante nel film “Diamanti Grezzi” con Adam Sandler, che in Italia è possibile vedere su Netflix.
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