Così, finalmente, tutto è ricominciato. Dopo oltre due mesi di chiacchiere, proclami, urla, strepiti, giocatori che vanno e che vengono, tra presunte operazioni di un mercato senza fine, picchi di noia che nemmeno la corazzata Potemkin versione originale è stata in grado di raggiungere – bisogna necessariamente parlare di qualcuno o qualcosa altrimenti si perde il treno e, così facendo, a volte si raccontano tanti si dice, parrebbe, potrebbe, sarebbe e via di seguito – si esprime di nuovo il campo. E lì non ci sono una serie di condizionali, non si ricostruiscono incontri misteriosi, cene nascoste, appuntamenti stile agenti segreti. Lì c’è un pallone che rotola e ventidue ragazzotti in mutande – cito con piacere testualmente mio nonno – a inseguirlo sudando, prendendosi anche a pedate se necessario, il tutto per buttare quel pallone nella rete avversaria. Anche se, a dirla tutta, qualche partita di questa prima giornata è stata decisa da chi, quel pallone, l’ha buttato sì in porta: peccato fosse la sua.

Il campo si è espresso, il campo ci ha raccontato di zero pareggi, fenomeno assai raro nella storia del calcio italiano, capitato soltanto in altre tre stagioni, due a metà degli anni trenta e una più recentemente, laddove per recentemente intendiamo oltre cinquant’anni or sono, campionato 1971/72, successo finale della Juventus con quarantatré punti davanti a Milan e Torino staccate di una sola lunghezza. Iniziamo subito sottolineando un particolare che tanto particolare non è: giornata pessima per i fischietti italici, impegnati in un susseguirsi di errori e orrori speriamo causati dalla forma ancora precaria. Eppure, se non ricordo male, il designatore aveva parlato di rigorini da evitare, interventi pochi e solo per punire falli evidenti. Beh, a giudicare dai primi novanta minuti pare sia accaduto il contrario: rigori a volte discutibili, interruzioni di gioco incomprensibili, sanzioni lasciate in cavalleria al grido di arbitriamo all’inglese, vivaddio. Insomma, un pastrocchio. Però siamo solo alla prima, lasciamo che gli eventi seguano il loro corso e pensiamo che, così come i calciatori, anche i direttori di gara hanno necessità di carburare. Magari con un leggero ripasso alle linee guida.

Tra le grandi quella ad aver colpito maggiormente, a mio parere, è stato il Napoli: sì, vabbè, ma il Verona…ecco, se il Verona ha fatto tanto male beh, scusate, il merito è dei ragazzi di Spalletti che hanno annichilito, di fatto, gli scaligeri. Bene anche il Milan, non è facile esordire con lo scudetto sulla maglia, in casa, prendendo gol dopo due minuti. Certo, forse la decisione del Var in occasione del rigore che ha permesso ai rossoneri di pareggiare è stata poco ponderata. Ma la sensazione è che il Milan la partita l’avrebbe vinta comunque, rigore o no. Stesso discorso vale per la Juventus, sofferente e malaticcia nei primi venticinque minuti poi, dopo il vantaggio del neo acquisto argentino, in pieno e totale controllo del campo e della gara. Certo, il rigore a prima vista sembra alquanto generoso, ma cambia poco la storia della sfida: i ragazzi di Allegri hanno vinto perché più forti e avrebbero vinto comunque, per lo stesso motivo. Passa all’ultimo respiro l’Inter a Lecce, ma il risultato è un filo bugiardo: i nerazzurri avrebbero dovuto e potuto chiudere la pratica molto prima. Solo un grande Falcone e qualche decisione discutibile del signor Prontera hanno ritardato i tre punti, arrivati sul filo di lana. Anche la Roma ha vinto, convincendo senza stupire però. L’idea è che Mou possa contare su un attacco atomico ma in mezzo e dietro ci siano ancora piccoli problemi da sistemare. Una lancia lasciatemela spezzare in favore di Radu: il ragazzo a Firenze ha ben figurato fino a perdersi- per inesperienza? timore? – sull’ultimo pallone. Ci sta, errori che capitano, non è successo nulla.

Bene la Lazio in rimonta, e bene anche Spezia, Atalanta e Torino, corsaro in una Monza che assaporava, per la prima volta nella sua storia, il profumo della serie A. Intanto sabato si ricomincia: Atalanta-Milan, Toro-Lazio e Samp-Juve. Menù di prim’ordine.

Alla prossima.