A distanza di dieci anni dalla conquista ci si sente come dei sopravvissuti che ripensano con gioia e malinconia a quei giorni pervasi di euforia e sospensione, durante i quali l’Inter e gli interisti non avevano paura di nulla.
Se per tutti l’Inter la tripletta l’ha realizzata tra il 5 e il 22 maggio, passando dal 16, vincendo formalmente tutti e tre i trofei, per me e molti altri l’estasi è arrivata prima, ad aprile, quando si è passati dal dramma alla liberazione, quando Mourinho era stato ridimensionato dalla delusione profonda degli interisti, dopo una sconfitta, oltretutto immeritata all’Olimpico, contro un’ottima Roma.

Il mese di tensione era partito proprio dal 27 marzo, con quel 2-1 inatteso, nonostante la Roma fosse seconda in classifica. Una settimana di tregua grazie alla vittoria in casa sul Bologna e alla 33esima giornata, l’11 aprile, il dramma del sorpasso, dopo la beffa del gol subito da Kroldrup a Firenze, 1 minuto dopo che l’Inter era andata in vantaggio.

Quel primo posto che sembrava inattaccabile, anche contro la logica, aveva cessato di essere un diritto divino e il giorno dopo c’era un’altra squadra che ci si sedeva e tutto sembrava più difficile, praticamente impossibile.
Lo stesso Mourinho ha dichiarato che il giorno dopo la partita contro la Fiorentina era stato il momento più difficile.

Lo era anche per me e tutti quelli che amavano l’Inter.
All’epoca ero direttore di Radio Milan Inter e ricordo bene i messaggi di sdegno di molti ascoltatori che parlavano di sopravvalutazione di Mourinho e di necessità, anzi obbligo di cambiare a fine stagione. Erano i soliti discorsi rancorosi che si fanno più per pulsione che con ragione, più per debolezza che saggezza, col paravento della condizione tifoidea.

In mezzo c’era stata la sfida al CSKA e la partita in casa con la Juventus in un sabato in cui lo stadio non era nemmeno tutto esaurito. C’erano 46.000 spettatori per la sfida più sentita del campionato. Una cosa surreale, mezzo stadio vuoto, nonostante la grandezza dell’Inter e la posta in gioco. La speranza che la Lazio potesse fermare la Roma arenata nella rimonta del derby, dopo l’illusorio vantaggio laziale.
L’Inter doveva continuare a vincere e concentrarsi sul Barcellona, in arrivo a Milano in pullman per colpa di un vulcano islandese che aveva chiuso tutte le rotte aeree in Europa.

Quando il Barca passò in vantaggio, dopo pochi minuti a San Siro, si era materializzata quella paura ancestrale, quel senso di realismo e ineluttabilità che ti avvolge dopo aver sperato che le cose potessero andar diversamente. In quel momento l’Inter era più fuori che dentro la Champions e il Campionato era più nelle mani della Roma, la quale pochi giorni dopo doveva affrontare la Samp e aveva un calendario agevole.

Il triplete non veniva nemmeno immaginato e tantomeno suggerito. La svolta arrivò con il gol del pareggio di Sneijder e la vittoria nel secondo tempo con il ruggito di San Siro. In quei sette giorni la sorte aveva voluto ricambiare la fiducia. Sabato l’Inter riusciva a battere l’Atalanta e domenica sera la Roma, colta dal braccino, perdeva in casa contro una Sampdoria fortissima e quarta in classifica, in zona Champions.
Pazzini più Cassano e Inter di nuovo prima.

Pochi giorni dopo l’Inter entrava al Nou Camp, davanti ad un pubblico catalano che esponeva lo striscione: “remuntada” e subiva l’assurda decisione dell’espulsione di Thiago Motta a inizio gara, restando in dieci tutta la partita e resistendo al Barcellona di Guardiola fino alla fine.

Il triplice fischio dell’arbitro De Bleeckere fu la cosa più bella che avessi mai sentito, il momento più alto della mia vita di tifoso consapevole (nel ’72 ero troppo piccolo per godermi il successo ai rigori sul Celtic e la finale con l’Ajax). Era come se avessi già vinto. L’Inter di nuovo in testa al Campionato e la resistenza eroica in inferiorità numerica contro la squadra più forte del mondo in quegli anni.

Da quel momento si era creata una corazza invisibile, una sensazione di indistruttibilità che avrebbe portato pochi giorni dopo a vincere tutto. Chiedete a qualunque interista, vi dirà che prima di Inter-Bayern, aveva una convinzione irrazionale, ma ben motivata, una consapevolezza ben oltre la fiducia, che avrebbe vinto anche la Champions e realizzato il triplete.
L’Inter aveva già vinto in quei sette giorni di fine aprile e tutti i tifosi, forse anche i giocatori lo sapevano.