Vincenzo Italiano faceva l’allenatore in campo, centrocampista di qualità nella sua lunga gavetta tra Verona, Genoa, Chievo, Padova, Perugia con chiusura della carriera a Lumezzane sette anni. Ma che diventasse un Italiano vero in panchina era tutto da scoprire: c’erano stati segnali illuminanti, sono diventati certezze. Dopo aver steso il Milan, sulle ali di uno Spezia moderno, arrembante, geometrico, organizzato come se fosse un passaparola, il ragazzo di 43 anni (compiuti lo scorso dicembre) ha dichiarato senza troppi giri di parole: “E’ stata la serata più bella della mia carriera da allenatore”. In fondo, la conferma delle sue qualità. Ancora di più: l’ennesima testimonianza che, se guidi un gruppo di ragazzi, devi modellarli in base alle tue idee, non obbligatoriamente all’insegna del “primo non prenderle”. Anzi, l’esatto contrario: meglio provare a darle perché così ci saranno minori possibilità di prenderle. Ecco perché questa, non ci sono dubbi, è la storia di un Italiano vero, genuino, intenso e profondo. Un Italiano nato in Germania, a Karlsruhe, ma siciliano autentico, sanguigno, pignolo al millimetro.

Vincenzo il perfezionista ha scoperto la panchina e le doti da stratega nella stagione 2015-2016: Luparense San Paolo, categoria allievi. Alle spalle un’esperienza da vice di Dal Canto a Venezia, Lega Pro, un successivo riscaldamento in Serie D con la Vigontina San Paolo, nel Padovano. E poi soddisfazioni vere con l’Arzignano, sempre Serie D: vinse i playoff, non certificati dal ripescaggio e dalla promozione. Ma era una rincorsa perché da quel momento non ha sbagliato un colpo: il Trapani in Serie C con un memorabile trionfo, lasciò perché aveva detto sì allo Spezia e nessuno si permise di ostacolarlo. La B al primo colpo e promozione attraverso i playoff, dopo una rincorsa incredibile rispetto alla classifica bruttina-bruttissima della prima parte del girone di andata. Giusto riepilogare il suo curriculum perché è un gradino al minuto che lui ha scalato senza soluzione di continuità, senza fermarsi e anzi aggiungendo. Il 4-3-3 marchio di fabbrica, pressing alto e un ronzio di zanzare nella testa dell’avversario che provoca stordimento, svenimento, impaccio. Lui passerà alla storia per essere stato il primo a non aver fatto giocare il Milan, a non averlo fatto tirare in porta, lo ha respinto aggredendolo, limitandolo, asfissiandolo, colpendolo. L’azione del primo gol è stata di una bellezza accecante: Agudelo per Gyasi, Gyasi per Ricci, Ricci per Maggiore che ha appoggiato a porta vuota. Sembravano gli All Blacks del rugby, una manovra alla mano, più veloce della luce, e gli avversari che non capivano cosa stesse accadendo. Stiamo parlando del Milan, abituato a prendere per il bavero gli avversari, stavolta l’esatto contrario. Italiano non aveva Nzola e Piccoli, un altro allenatore avrebbe snocciolato il rosario degli alibi e delle imprecazioni, lui ha messo Agudelo finto centravanti e ha tolto i riferimenti a Romagnoli e Kjaer: fine delle trasmissioni in casa rossonera, l’anticamera di un film a colori per gli affezionati dello Spezia. I primi gol in A di Maggiore e Bastoni, che sono cresciuti al “Picco”, Erlic che sembrava uno dei centrali difensivi rampanti d’Europa, Saponara che ricamava come ai tempi di Empoli quando il Milan si era convinto a prenderlo non immaginando di avere un ritorno modesto. Ma con Italiano si impongono tutti, rinascono tutti, al tavolo c’è sempre un posto in più per il banchetto di gran calcio come se fosse una puntualissima scadenza settimanale.

Il patron Volpi, subito dopo aver ceduto il club agli americani, ha detto una cosa sacrosanta: “Fossi nel mio successore, la prima cosa che farei sarebbe quella di convocare Italiano e fargli firmare altri due anni di contratto”. La scadenza è giugno 2022, normale che ci siano già le sirene. Le stesse che Volpi aveva respinto la scorsa estate quando, fresco di storica promozione in A, si imbatté in Preziosi che – su consiglio del direttore sportivo Faggiano, ora già un ex Genoa – aveva deciso di puntare proprio su Italiano. Lungo contratto, carta bianca, mercato imponente, tutto quello che avrebbe voluto il rampante della panchina. Volpi disse di no, convocò il suo eroe su uno yacht, gli elargì un robusto premio promozione e gli intimò che per nessun motivo al mondo lo avrebbe liberato. Né per i cugini liguri né per qualsiasi altro ci avesse provato: la Serie A andava onorata e affrontata con il profeta principale artefice. E il diretto interessato, pur lusingato dal corteggiamento del Genoa, non mosse ciglio perché – ogni tanto – la riconoscenza abita qui. Adesso sarà più complicato: gli apprezzamenti di De Laurentiis per il Napoli che verrà, solo apprezzamenti per ora, il Sassuolo che lo ha individuato come il possibile erede di De Zerbi in scadenza. E chissà quanti altri estimatori spunteranno nei prossimi mesi, quando bisognerà individuare un Italiano vero per realizzare i sogni di chi vorrebbe una squadra bella, organizzata, gestita al millimetro, senza alcuna improvvisazione.

Mi chiamo Vincenzo, datemi un programma serio, non soffocatemi sul mercato, regalatemi le pedine giuste per trasformare il gruppo di lavoro in un computer perfetto. Diciamo la verità: lo Spezia era considerato, la scorsa estate, come il principale indiziato alla retrocessione. Una sentenza: la Serie A non puoi affrontarla con una barchetta e con troppa gente disabituata. La solita improvvisazione di chi parla senza conoscere, di chi emette verdetti al buio con il rischio concreto di andare a sbattere contro un palo. Teniamo bene a memoria le dichiarazioni di Italiano dopo il trionfo sul Milan: “La notte più bella della mia carriera”. L’empireo che, nel suo caso, sarà semplicemente la rincorsa per andare ancora più su.