Niente da dire, davanti stanno correndo a velocità supersonica. Senza, per adesso, la minima voglia di rallentare. A meno che…già, perché l’ennesima pietosa sosta delle Nazionali, con conseguente rientro non si sa come da viaggi transoceanici o, comunque vada, stanchi per numero di partite giocate, con temperature differenti e con preparazioni atletiche che vanno a farsi benedire e chi più ne ha più ne metta, potrebbe in qualche misura danneggiare la cavalcata delle battistrada. È ora che si studi un modo e una maniera per evitare stop continui.

È letteralmente scandaloso il me ne lavo le mani di UEFA e FIFA, incapaci di stilare un calendario serio che non danneggi i club, proprietari dei cartellini e, a quanto mi è dato sapere, unici a corrispondere stipendi plurimilionari ai propri dipendenti. Ma, per qualcuno, è più importante il fair play finanziario, i Mondiali ogni due anni, il calcio di tutti e potremmo continuare per pagine a raccontare luoghi comuni.

Torniamo a casa nostra. 

La settima giornata ci ha raccontato di un Napoli forte, quadrato, coeso e, rispetto al passato, convinto dei propri mezzi. Esempio lampante: i partenopei soffrono la Viola della prima mezz’ora, vanno sotto ma, contrariamente a quanto accadeva, non si abbattono. Anzi, casomai abbattono il muro avversario grazie alla coralità di un gioco ben definito, uomini messi in campo sapendo cosa fare e come farlo, supportati dall’attuale esuberanza fisica di Osimhen, a tratti mostruoso e irrefrenabile. La condizione mentale, poi, non è da meno. Gli azzurri ieri in maglia rossa sgargiante, oggi come oggi meritano ampiamente la testa della classifica.

A inseguire il Milan, padrone su un terreno ostico come Bergamo. Vero è che l’Atalanta si affonda da sola con un gollonzo, il primo, facilitato da un orrore di Musso, dopo nemmeno un minuto uno di gioco, sommato a una sanguinosa palla persa sul finire del primo tempo che apre l’autostrada dei sogni a Tonali, bravo nella circostanza. In mezzo tanta Dea, ottime parate di Maignan – ci piace sottolineare l’essere stati tra i primi a definire grande l’acquisto, illo tempore, dell’estremo francese – ma, nella ripresa, rossoneri in controllo senza affanno né fatica, pronti a raddoppiare o triplicare il portatore di palla avversario, segno di sovrabbondanza fisica. Tre punti meritati, solita Atalanta di inizio stagione che perde terreno per la lotta scudetto, orobici a meno dieci dalla vetta, brutta copia della squadra ammirata appena una settimana fa al Meazza e, solo mercoledì scorso, in Champions.

L’Inter, nonostante tutto, resta lì, attaccata con le unghie e coi denti alla locomotiva di testa. Nonostante tutto perché spesso e volentieri, troppo spesso e troppo volentieri aggiungiamo, i ragazzi di Simone Inzaghi trascorrono minuti e minuti in vuoti di idee e di corsa pericolosissimi, se intendi lottare ad alti livelli. Anche a Reggio Emilia svantaggio meritato dopo venti minuti di poco, poi naufragio con episodio dubbio sul quale Pairetto ha deciso di non intervenire; primi dieci minuti della ripresa da incubo fino alle sostituzioni, dovute. Dzeko e Vidal hanno portato nuova linfa e l’Inter l’ha ribaltata: sta di fatto che qualcosa, nel meccanismo nerazzurro, funziona male. Inzaghi ha da lavorare: tantissimo.

Così come male, molto male, la Lazio che non ti aspetti a Bologna, disunita e spenta. Bene, molto bene, la Roma di Mou, capace di rialzare immediatamente la testa dopo la sconfitta nel derby. 

Da sottolineare, finalmente, i primi tre punti della Salernitana, utili ad agganciare il treno salvezza che si sta formando. Successo rimandato per l’ennesima volta dal Cagliari, in vantaggio salvo spegnersi troppo presto. Il Venezia gioca, sfiora più volte la rete, la ottiene in pieno recupero e si divora addirittura il vantaggio. Per Mazzarri l’idea è che non si tratterà di una passeggiata di salute.

E adesso largo alla sosta. Evviva.