È stata un’estate difficile da riassumere, complicata da decifrare e dalla quale arriveranno nuove verità quando si conosceranno definitivamente le intenzioni di Suning/Zhang lasciate per ora al silenzio e ad una presidenza che sembra incarnata da Marotta più che da ogni altro.

L’amministratore delegato in tre mesi ha fatto fronte alle tensioni con l’ex allenatore, ha affrontato l’emorragia di addii improvvisi, cessioni sanguinose ed episodi drammatici, come quello capitato ad Eriksen, facendo fronte comune con Piero Ausilio e riuscendo a mettere in piedi una squadra ugualmente competitiva. Marotta è anche il front manager, rappresenta la società e lo fa con discrezione, il tipo di lavoro realizzato da lui e dal resto dei dirigenti è stato eccellente, considerato che oggi la squadra è competitiva nonostante i soldi delle cessioni non siano stati praticamente reinvestiti.

L’Inter vista ieri sera a Verona è una squadra che ha mostrato i due lati della rivoluzione estiva, chiarendo che per lo scudetto non è solo in corsa ma, soprattutto ora che Ronaldo ha piantato in asso la Juventus a soli tre giorni dalla fine del mercato, è probabilmente la squadra favorita.

Questo è un campionato composto da squadre inevitabilmente imperfette, che hanno dovuto pensare più a tenere in piedi la situazione che a migliorarla. Il Milan ha perso Donnarumma e Calhanoglu a zero, la Juventus ha perso Ronaldo all’ultimo e per pochi soldi considerata la sua età, senza avere il margine per poterlo sostituire degnamente. L’Inter ha ceduto Hakimi e Lukaku a 180 milioni e, pur potendo contare su una minima parte del ricavato, ha avuto tempo e idee per trovare delle soluzioni.

L’Inter vista ieri a Verona ha delle legittime lacune negli automatismi, è meno potente, meno debordante nell’energia o nella velocità anche perché Barella deve ancora entrare in forma e Calhanoglu deve entrare più nel ruolo, oltre a migliorare molto nella continuità, sua autentica lacuna nella sua carriera. Inzaghi deve lavorare molto anche per migliorare l’intesa tra Dzeko e Lautaro, oltre a fare un pensiero su Handanovic che ieri ha fatto un errore di concetto, un errore da difensore più che da portiere. In due partite ha già mostrato di essere in calo nella concentrazione e inevitabilmente nella reattività, pur non perdendo il talento.

In due partite tuttavia si è rivisto un Vidal ispirato e lucido, un Sensi in palla e dentro al progetto, una difesa impenetrabile che ha ripreso da dove ha terminato, un Lautaro che ha preso coscienza del suo ruolo e un Dzeko tutt’altro che appassito, anche se migliorabile nei movimenti.

Il debutto di Correa è di quelli da giocatore importante. Entrato ad un quarto d’ora dalla fine con la partita in bilico, ha sfoderato due colpi di cui uno, il colpo di testa, che sembrava fuori dai suoi canoni.
Ecco, il gol del raddoppio è emblematico perché è arrivato in un momento della partita in cui si giocava a sprazzi, senza ritmo, ma è bastata una verticalizzazione di Vidal per Darmian, bravo ad inseguire un pallone che senza convinzione sarebbe finito fuori dal campo, il suo cross in area e Correa altrettanto bravo a seguire l’azione e a farsi trovare pronto.

Il 3-1 è stato una delizia con quel colpo di piatto dell’argentino e quell’abbraccio dei compagni, oltre al saluto alla curva a fine partita che rivela come la squadra sia assolutamente convinta di potersi ripetere.
Il patto è non illudersi di avere una squadra ugualmente ma diversamente forte dalla scorsa stagione.

Il sorteggio di Champions ha dato una grande occasione per potersi rifare della tre eliminazioni consecutive avvenute l’ultima giornata. L’uscita dei calendari ha portato un Real-Inter all’ultima giornata, ragione per la quale il passaggio del turno sarebbe bene giocarselo prima, senza fallire le partite da vincere con avversari più deboli o alla portata.

Le premesse di questa stagione sono sorprendentemente positive, a patto di tenere bene a mente i propri limiti e non aspettarsi troppo da una squadra che ha appena imparato di essere più forte di quanto ci si aspettasse.