Un terzo degli juventini ha pensato a quel Fiorentina-Juventus speculare, da 0-2 a 4-2, per il quale a Firenze si vendono ancora tazze, premi e cotillon.
Un altro terzo a Cardiff, al crollo fisico e mentale nella ripresa, all’ultima volta in cui avevano perso.
L’ultimo terzo, ma forse anche agli altri due, a Juventus-Atalanta di sabato sera, che a questo punto diventa decisiva sotto diversi profili.

E non c’è dubbio che quello di ieri sia un blocco inspiegabile, un lasciare improvvisamente la partita quando stai dominando, atteggiamento che nemmeno l’ennesimo rigorino per fallo di mano di questa stagione può giustificare. Prendi il 2-1, ti rimetti a giocare e la porti a casa: la Juve, in questi anni, ci ha abituato così. Male i cambi ritardati del tecnico, il rientro di Higuain, la coppia difensiva Bonucci-Rugani, molto male l’approccio mentale dei subentranti Sandro e Ramsey, più vacanziero che totalmente settato sul match point ancora in corso.

Nessun alibi, dunque, ma dopo 4 vittorie arriva una partita (una mezz’ora, meglio) nera e ci pare tutto da buttare e ormai compromesso.
Il punto è che non siamo più abituati a delusioni così cocenti, sconfitte così inaspettate e quando succede dobbiamo sfogarci: chi con l’allenatore, chi con un giocatore, chi con quell’altro. Che noia, poi, queste eterne diatribe tra allegriani e sarristi, con i primi che si fanno risentire ai passi falsi di questa Juve e i secondi pronti a rinfacciare il nuovo gioco della squadra appena si vincono alcune partite di fila.

Siamo rimasti così in pochi a “rosicare” quando perdiamo e gioire quando vinciamo, senza battaglie (più personali che altro) da portare avanti?

Siamo goffi, quando perdiamo e ,se un po’ è nella natura degli esseri umani essere più brillanti quando si vince, noi juventini di fronte alle sconfitte siamo davvero in difficoltà, disabituati.

E allora inutile fare troppe analisi, tanto più in un campionato assurdo come questo, in cui c’è un dispendio intenso e ravvicinato di energie fisiche e mentali, mai vissuto prima.

Sette punti di vantaggio, sette giornate dalla fine, due scontri diretti da giocare. È l’unica cosa che conta: non angustiarsi su questa partita, far sì che ricapiti tra 7 anni (ah, come lo firmerei!) e aggredire le sfide che mancano, ricordando che per tre mesi di lockdown eravamo a più 1 mentre ora siamo a più 7.

Dopo Juventus-Lecce del primo scudetto di Conte, quello della papera raggelante di Buffon e di tanti, troppi dubbi improvvisi che ci impedivano di dormire, la fortuna è stata non poterci pensare troppo, perché si sarebbe giocato già tre giorni dopo. Ritrovare le energie, allora, e godersi l’unico lato realmente positivo di questo finale così surreale: non c’è neanche il tempo di ripensarci e si torna in campo.

Dimenticare quella mezz’ora, ripercorrere queste quattro partite e mezzo, consci di quanto siamo forti ma non convinti di avere già vinto il campionato: così facendo, quello di ieri, ci sembrerà solo un maledetto incubo di mezza estate.