Durante la settimana la visione di PSG-Bayern e Borussia Dortmund-Manchester City ha aperto un mondo all’opinione pubblica italiana e a tanti tifosi che hanno parlato di altro sport, di livello troppo alto per il calcio italiano, praticando l’arte della “diminutio” della serie A. La masochistica pratica dell’enfasi non ci abbandona mai. Si passa dall’autoreferenzialità verso il nostro calcio che per mesi viene considerato come il “più difficile” perché tattico e si va avanti fino ad aprile quando in genere si scopre che non c’è più nessuna squadra in Europa, con l’eccezione dell’Inter lo scorso anno in Europa League e la Roma quest’anno in semifinale.

Posta così la questione non ha molti sbocchi e nemmeno tanto senso perché va analizzata da un’angolazione diversa, specie quando ci si chiede cosa debba fare l’Inter per raggiungere questi livelli stabilmente. Parto dal presupposto che non si tratta di Serie A di scarso valore, di livello basso del nostro campionato ma di un calcio europeo a collo di bottiglia, il quale da anni porta ad andare fino in fondo sempre le stesse squadre. Si tratta di Bayern, Real, Barcellona (oggi in crisi), PSG e le squadre inglesi a turno.

L’elite si è consolidata anche grazie ai ricchi premi della Champions, sceicchi, grandi investimenti e potere politico, come quello che permette da anni al Real Madrid di ricevere aiuti di stato, nonostante siano stati riconosciuti da una sentenza come fuorilegge.
In mezzo si sono ricavate uno spazio realtà come il Borussia Dortmund e l’Atletico Madrid e, sempre più raramente, si fanno largo sorprese come il Lipsia e l’Atalanta.

Il calcio inglese viene venduto straordinariamente in tutto il mondo e dona ricchezza a tutti i club di Premier ma non vediamo mai squadre di altri Paesi ricavarsi spazi stabili nella coppa più importante. Per questo l’Inter il salto di qualità lo può fare solo se ha dietro una proprietà stabile, specie ora che ha una squadra di livello, un tecnico riconosciuto e un management serio. Ancora non è dato sapere cosa farà Suning, se e quando cederà il club ad un fondo di investimento e se rinforzerà ulteriormente la squadra o penserà almeno a tenerla intatta, stabilizzando la rosa e investendo su qualche giovane e un paio di parametri zero.

L’Inter è l’unica realtà di livello in Europa senza stadio di proprietà e dunque senza quei ricavi che le permetterebbero di poter aspirare alla grandezza perpetua. Dunque vittoria di un trofeo e anni successivi tra terzi, quarti posti e zero titoli. Si parla da anni di costruzione del nuovo impianto, oltretutto in comproprietà col Milan, ma si va avanti con una lentezza esasperante e il tempo è un fattore determinante.

L’Inter che va a giocarsela col Napoli aspira alla vittoria dello scudetto con largo anticipo e quella prudenza legittima verso l’obiettivo ad un passo è certamente frutto di grandi delusioni del passato (Mantova e il 5 maggio) ma senza tutto quel vantaggio che la squadra di Conte ha attualmente.

Interessante e importante che Lautaro e Brozovic rinnovino rinunciando ai procuratori, De Vrij si avvicini anch’esso alla permanenza con un contratto di circa 5 milioni, mentre rientra nella normalità il fatto che già vengano affiancati all’Inter diversi nomi come Gosens, Florenzi e Dzeko.

Quello che importa è come Conte, in mezzo a questo periodo così magmatico, tra voci di mercato, cambio proprietà, stipendi in ritardo, covid, rinnovi e desuetudine alla vittoria della maggior parte dei giocatori, riesca a tenere la barra dritta e concentrazione alta. Napoli è un campo tradizionalmente difficile in cui è fondamentale comportarsi e giocare da grande squadra, contro una formazione che tende a fare meno possesso di un tempo e verticalizzare di più, rinunciando allo spettacolo. È uno scontro diretto e se l’Inter supererà anche questo passaggio potrà iniziare a costruire prima un grande futuro. Almeno in Italia.