La prima sentenza il campionato di Serie A l’ha emessa, per quanto fine a sé stessa e più statistica che altro: l’Inter è campione d’inverno, serve a nulla ma è così. Con una giornata d’anticipo sulla fine del girone di andata, oltretutto. Nella passeggiata nerazzurra in terra campana spiccano, ancora una volta, le prestazioni di Calhanoglu – sei gol e otto assist nelle venti partite fin qui disputate, se non è record poco ci manca – e Alexis Sanchez, un mese fa sicuro partente, oggi, al contrario, entrato con prepotenza nelle rotazioni di Simone Inzaghi conquistando un ruolo pressoché fondamentale nell’economia del gioco interista.

Il giovane tecnico piacentino ha plasmato questa squadra, orfana di tre pezzi da novanta, gente di livello mondiale, mica l’ultima riserva di qualcuno in lotta per non retrocedere e di un allenatore capace, dopo dieci anni, di riportare lo scudetto sulla sponda nerazzurra del Naviglio. Lo ha fatto con il lavoro, senza urlare, senza sbraitare, senza prendersela con tizio o con Caio. È primo in classifica e lo è per meriti propri. Certo, innegabile, anche grazie a qualche scivolone di troppo, inatteso, da parte delle dirette concorrenti. Perché alzi la mano chi prevedeva l’Atalanta letteralmente presa a ceffoni da una Roma disegnata in crisi, con tanto di guerre intestine e un allenatore ormai senza più molto da chiedere al pallone. Beh, previsioni catastrofiste al solite disattese. Mourinho ha imprigionato Gasperini dal primo all’ultimo minuto, i bergamaschi hanno giocato al solito, tanta corsa, tanta grinta, tanta voglia di fare bene ma, stavolta, sono apparsi più confusionari che pericolosi.

E anche il gol annullato ai neroblù, per quanto possa sapere di beffa, deriva da un regolamento da rivedere e, possibilmente, riformare. Stesso discorso, perlomeno legato all’annullamento di un gol ai più apparso regolare, riguarda il Milan, inopinatamente battuto al Meazza dal Napoli. Vero, i rossoneri hanno dalla loro una scusante sotto gli occhi di tutti: le assenze, numerose. Però, dall’altra parte, non è che Spalletti potesse contare sull’organico al completo. Insomma, se Atene piange Sparta non ride. E il Milan, a parte quel gol non gol – dal mio personalissimo punto di vista, sia chiaro, è sempre gol – ha costruito davvero poco in novanta minuti: tre conclusioni pericolose tre, possesso palla a favore ma solo per la decisione dei partenopei di chiudersi nella loro metà campo dal minuto settantacinque in avanti quasi rinunciando a ripartire. Insomma, periodo nero per Pioli e i suoi: oggi Empoli è una montagna difficile da scalare mentre il successo esterno rilancia gli azzurri, frenando l’emorragia di punti persi negli ultimi trenta giorni.

La sconfitta atalantina con vittoria contemporanea della Juventus avvicina i bianconeri alla zona Champions, ormai distante solo sei punti. Allegri sceglie una squadra operaia, molta sostanza e poco spazio ai fronzoli, portando a casa tre punti fondamentali. Oggi, insieme alla Roma di cui sopra e alla Fiorentina fermata in casa dal Sassuolo con annessa lite, rientrata immediatamente, tra Vlahovic e Italiano, colpevole (mah) di aver sostituito in giovanotto serbo a un minuto dal termine, la tanto agognata quarta posizione è meno impossibile di qualche tempo fa. Bene anche la Lazio, vittoria col derelitto Genoa e distanze inalterate con le altre pretendenti all’Europa, e bene anche il Toro, decimo con l’obiettivo  di migliorarsi ancora.

In coda la lotta per non retrocedere sembra ormai essere ridotta a quattro squadre, con lo Spezia leggermente avanti. Le ultime tre male, anzi malissimo: sommando le loro performances pallonare del fine settimana hanno segnato, in tre ripetiamo, un gol, subendone dodici. Cifre da paura. E mercoledì gli impegni che le attendono sono complicatissimi: grande occasione per la quintultima, il Venezia, di allungare ancora. Ultimo turno senza scontri diretti ma con molte partite interessanti, anche perché questo campionato ci sta raccontando che nulla è scontato. Quindi occhio a eventuali sorprese, per nulla da escludersi.