La ripartenza porta poche novità sotto il cielo del massimo campionato di calcio. Solite cose, solita routine, solite decisioni arbitrali rivedibili, soliti varisti assenti nel momento del bisogno. A parte ciò la seconda di ritorno incorona, ce ne fosse bisogno, le due milanesi quali padrone attuali del torneo: non tanto per le vittorie conquistate, quanto piuttosto per essere le uniche a dimostrare continuità, attenzione, gioco, forma fisica e chi più ne ha più ne metta. Il Milan, al netto di pessime decisioni arbitrali da parte del signor Irrati, un paio decisamente inspiegabili, stravince dominando in lungo e in largo: in tutta onestà non credo proprio che un rigore fischiato contro i rossoneri – c’era tutto per carità – avrebbe potuto stravolgere l’esito di una gara mai in discussione. Venezia spento, incartato su sé stesso, poco propositivo e lontano anni luce dalla bella squadra ammirata prima della sosta natalizia. Ora i lagunari debbono cominciare a guardarsi le spalle: il Cagliari martedì, nel posticipo del posticipo del posticipo, potrebbe fare bottino pieno contro un Bologna con ogni probabilità incerottato. E tre punti equivarrebbero al quasi aggancio.

Il primato milanista in classifica dura lo spazio di qualche ora. Perché l’Inter, in serata, piega la Lazio al Meazza, incamera tre punti pesantissimi e ricomincia da dove aveva interrotto il suo cammino. Il successo non solo ci sta tutto, ma il gollettino finale di scarto è bugiardo: i nerazzurri si vedono annullare una rete per un sopracciglio impazzito di Lautaro – cerchiamo di rivedere la regola del fuorigioco che così è ridicola a dir poco – Strakosha diventa Superman con una parata pazzesca e altri interventi di ottimo livello prima di arrendersi a due reti imparabili, mentre i biancazzurri combinano poco. E per poco intendiamo davvero poco.

Il problema delle romane esiste, inutile stare a girarci intorno. Da una parte Sarri col suo gioco spumeggiante del quale, però, fino ad ora se ne sono ammirate solo rare tracce. La Lazio ha trentadue punti in classifica, attualmente a meno diciassette dalla vetta con l’Inter che deve recuperare la partita di Bologna, la squadra offre prestazioni altalenanti, la qualità sembra non appartenere a Immobile e compagni. Eppure, scorrendo la rosa, i nomi non sono certo di secondo piano. Ma se una parte della capitale piange, non è che l’altra abbia troppi motivi per ridere. L’arrivo di Mourinho, l’estate passata, aveva illuso la tifoseria giallorossa e non solo sulle potenzialità della nuova Roma. Alla prova del nove, però, parliamo di una squadra che si incarta spesso e volentieri, scivolando su sconfitte a tratti realmente inspiegabili. Ieri, esemplificando, in pieno controllo di partita e risultato, è bastato un episodio avverso, ci sta nel calcio, per rendere i giallorossi completamente evanescenti. Mou ha delle colpe? Certo che le ha, è il comandante della nave: ma quelle colpe scemano di fronte ai disastri che i suoi giocatori mettono in pratica sul terreno di gioco. Cominciando dal portiere e finendo all’ultima delle riserve, nessuno escluso. La Juventus, brutta per oltre un’ora, ritrova voglia e coraggio, ribalta il risultato e torna sotto la Mole con tre punti inimmaginabili a un quarto d’ora dal termine della sfida, aspettando con convinzione rinnovata la Supercoppa di mercoledì sera a Milano.

In coda scivolone inatteso di Sheva e del suo Genoa: perde il derby con lo Spezia e, a meno di un clamoroso cambio di marcia, rischia pesantemente la retrocessione. Thiago Motta, intanto, tra una voce di esonero e l’altra, continua a lavorare al meglio: la vittoria di ieri, con annessa sconfitta della Samp a Napoli, amplia il lotto delle pretendenti per un posto al sole.

Il tutto in attesa della lunga serie di recuperi e gare ancora da giocare, per chiudere il turno e dare un’idea chiara e definita della classifica.