Finisce così la stagione calcistica 2021/22: il Milan è campione d’Italia. Con grandi meriti, più dei demeriti altrui. Non appartengo al partito dello scudetto perso per colpe di tizio, caio, il meteorite, l’asteroide, l’arbitro, le congiunture astrali. Il Milan vince perché, nel momento decisivo della stagione, non si fa prendere dal panico pallonaro, dal braccino del tennista, da quelle paure nelle quali si può cadere quando vedi il traguardo a portata di mano, lo sfiori, lo tocchi ma ancora manca quel cicinin.

I rossoneri, ricordiamolo, nelle ultime quattro partite, quella di Reggio Emilia la tralasciamo, non fa nemmeno testo, hanno rimontato per ben due volte, a Roma e a Verona, dove si sono trovati sotto senza manco sapere come: lo hanno fatto con una consapevolezza, una tranquillità mi vien da dire, che hanno solo le squadre sicure della loro forza. Ridurre tutto a semplice fortuna, casualità, fatalità, chiamatela come meglio credete, è una diminutio che, personalmente perlomeno, non mi trova per nulla d’accordo. Ha vinto il Milan, viva il Milan, come è giusto sia nello sport: perché una vince, non due, non tre e nemmeno quattro. Solo una. Ora, l’episodio favorevole, intendiamoci, può capitare, capita a tutti la partita dove le cose viaggiano nella giusta direzione: il campionato, però – ecco il motivo per il quale non solo non tollero l’idea del play-off nel calcio ma la trovo insensata, senza logica e, soprattutto, espressione di casualità sfrenata, dove non vince la più forte ma, a volte, quella a cui gira meglio, in questo caso diminutio sì – è fatto di trentotto partite. Quindi, se in una circostanza gli dei del pallone ti danno una mano, non può essere per otto mesi di fila. Insomma, in soldoni il campionato incorona sempre e comunque la più forte, non quella baciata dalla buona sorte: sia chiaro, opinioni del tutto personali, dopodiché ciascuno è liberissimo di pensarla come meglio crede. E, per chiudere snocciolando qualche numero, ricordo che il Milan, dall’arrivo di Ibra nel gennaio di due anni e mezzo fa, ha conquistato, a memoria, 207 punti contro i 212 dell’Inter: significa qualcosa? Sì, significa che i rossoneri, a torto, sono stati presi sottogamba: tutta questa buona sorte, in fin dei conti, non è tanto buona sorte, quanto costanza di risultati.

Appena dietro i nuovi campioni d’Italia c’è l’Inter. Che il braccino l’ha avuto nella partita più controversa della stagione: quel recupero di Bologna perso malamente e giocato, dopo il pareggio subito, con troppo stress e ansia da prestazione. Certo, è difficile spiegare novanta minuti più recupero dove prendi due gol con avversari che fanno un solo tiro in porta, però tant’è. Inzaghi ha di che essere soddisfatto: due trofei li ha portati a casa, solo Mourinho nella storia nerazzurra ha fatto meglio la prima stagione, è giovane e si è trovato catapultato in una realtà che si era appena liberata, in due casi, nel terzo c’era poco da fare, di tre colonne portanti della cavalcata scudetto. Ha mostrato qualche falla e qualche pecca, nulla che l’esperienza non possa sistemare: ma di certo è lui l’allenatore con cui ripartire.

Anche il Napoli ha molto da recriminare, suicidatosi calcisticamente nelle due gare interne con Fiorentina e Roma, proprio sul più bello. Male, molto male, la Juventus: al di là degli zero tituli, capita, molta approssimazione, prestazioni insufficienti, gioco che non ha mai decollato. Ci sarà molto da lavorare, vedremo cosa porterà in dote il mercato.

Così così le romane, coi giallorossi impegnati in una finale europea che potrebbe alzare la media di una stagione altrimenti appena sufficiente. Male, come la Juventus, l’Atalanta, irriconoscibile sotto molti punti di vista e all’addio, forse, col tecnico delle grandi soddisfazioni.

In coda arrivederci a Venezia e Genoa, già lo sapevamo dalla scorsa settimana. Un saluto al Cagliari: ieri i sardi, pur a conoscenza dell’harakiri salernitano, non sono riusciti ad andare oltre un misero pareggio a reti bianche coi lagunari già condannati. Gravemente insufficiente l’annata, gravemente insufficiente la gestione, gravemente insufficiente la programmazione.

Adesso ci aspettano due mesi pieni di mercato, chiacchiere, sogni, delusioni: per poter ripartire, tra poco più di ottanta giorni, verso un nuovo viaggio. Magari appassionante come quello appena concluso, il più combattuto dell’ultimo decennio.

Alla prossima.