Otto. Tante sono le giornate che mancano per chiudere questa stagione calcistica. Otto, simbolo dell’infinito per alcuni: per altri incarna giustizia e incognito. Ma, bando alle dissertazioni riguardanti la numerologia e scendendo coi piedi ben piantati a terra, la sostanza sta nell’Inter capolista, sempre undici i punti di vantaggio, e le altre a inseguire una chimera o, più concretamente, un semplice posto nella prossima Champions League. Che, detta così, potrebbe sembrare poco: al contrario sappiamo tutti quale e quanto peso specifico differente ci sia tra l’Europa dei grandi e quella di coloro che son sospesi, sempre grazie al governo pallonaro di Nyon riuscito nella difficile impresa di ridurre la vecchia coppa UEFA a una manifestazione di puro contorno al solo trofeo continentale riconosciuto in tutta la via Lattea, de Cempioooons.

Vince l’Inter, dunque, stavolta – udite udite – con possesso palla oltre il sessanta per cento. Incredibile. Vince perché è decisamente più forte del Cagliari ma, soprattutto, vince perché non trova resistenze fino all’area avversaria, con i sardi preoccupati più a fare barricate che a giocare il pallone. Peccato, i rossoblù sono una squadra forte, tecnicamente valida, incomprensibilmente relegata nei bassifondi della classifica più per demeriti personali, in verità, che non per sfiga conclamata. Gli ultimi dieci minuti degli uomini di Semplici, però, lasciano pensare a quale partita sarebbe stata se il Cagliari l’avesse giocata non diciamo a viso aperto ma quasi. Perché oggi l’Inter ha una consapevolezza tale per cui, se decidi di chiuderti nella tua area tutto il tempo, prima o poi il gol lo prendi: e così è stato.

Altra candidata alla retrocessione, ormai con un piede e tre quarti in B, è il Parma. Quello visto sabato col Milan per una trentina di minuti, assolutamente impalpabile, è l’emblema della stagione ducale. Gli emiliani non sono stati costruiti, così come i cagliaritani, con l’idea di salvarsi: casomai per giocare un campionato all’insegna della tranquillità occhieggiando a qualche scivolone di quelle più forti onde intrufolarsi in posizioni magari non europeiste ma quasi. Col Milan i gialloblù non sono scesi praticamente in campo, hanno preso gol, reazione poca per non dire nulla, hanno messo fuori il capino quando i rossoneri hanno iniziato a cincischiare invece di insistere e chiuderla, hanno preso il secondo, hanno dimezzato lo svantaggio dopo l’espulsione di Ibra, sono stati sfortunati, e infine hanno preso il terzo. Parabola di un anno orribile.

Vince la Juventus in pantofole o quasi, senza l’apporto di Cristiano Ronaldo oltremodo nervoso. La storiella della maglietta – la lancia, la butta, vuole andarsene me lo ha detto l’amicidelfratellodelcuginodinonsochi, resta per vincere tutto – non ci appassiona: casomai certifica, questo sì, un non so che di latente all’interno dello spogliatoio bianconero, conscio di aver gettato al vento punti importanti se non fondamentali per l’inseguimento all’Inter. Oltretutto la situazione creatasi nelle zone nobili della classifica fa si che nemmeno il Milan possa essere sereno e tranquillo: son tutte lì, sei squadre in nove punti se consideriamo – perché no – la Roma nel gruppone. Vogliamo scartare i giallorossi non si sa per quale motivo? Bene, regaliamo tre punti alla Lazio che deve affrontare il Toro, li regaliamo proprio vista l’oggettiva difficoltà della partita: troveremo cinque squadre in cinque punti, con una marea di scontri diretti nelle ultime settimane.

Napoli sbanca Genova, sponda doriana, proponendosi come prima alternativa a Milan, Juve e Atalanta, vittoriosa a fatica sulla Viola. I partenopei, Inter e Lazio a parte che sfideranno tra le mura amiche, hanno un calendario sulla carta più agevole rispetto alle dirette concorrenti, vengono da un filotto positivo – sconfitta di Torino a parte – hanno ritrovato entusiasmo e compattezza. E parliamo, in chiusura, della Lazio, alla seconda partita vinta in pieno recupero. Occhio ai biancazzurri: devono affrontare, come detto, il Napoli, hanno il derby e ospitano il Milan. Ma si conoscono a memoria, hanno assaporato l’aria dell’Europa dei grandi, non hanno nulla da perdere e, soprattutto, non sono obbligati a centrare l’obiettivo. Alla lunga potrebbero essere le armi in più per Simone Inzaghi e i suoi ragazzi.