Ma come si scrive un articolo del genere, in cui devo commentare la partenza e l’arrivo (il ritorno) di tante leggende della Juventus in poco meno di 24 ore? Che ordine si dà? Da dove si parte?

Prima i saluti, con infinito affetto e riconoscenza.

Fabio Paratici è stato un pezzo fondamentale di una delle Juventus più forti che ricorderemo, capace di tornare a vincere, continuare per anni, rinnovarsi per non fare terminare il ciclo – come sarebbe umano – dopo quattro o cinque anni, ma arrivando fino a nove, oppure fino a dieci, se consideriamo anche le coppe di questa stagione. Un grande dirigente, cresciuto con noi, forse negli ultimi tempi in un ruolo non amato troppo neanche da lui, idolatrato fino a quando c’era da sbertucciare Marotta, sbertucciato quando si poteva tornare a idolatrare Marotta, ormai in altri lidi. Ramsey, in parte Rabiot, la confusione su Suarez, tutto quello che vogliamo: resterà un pezzo di storia importante e merita per questo la conferenza congiunta, riservata solo ai più grandi.

Andrea Pirlo. Il bello è averlo reso una leggenda della Juventus, quando ormai eravamo certi appartenesse solo al Milan: fuoriclasse in campo, apprendista allenatore in panchina. E non mi scordo le partite faticose con quel gioco lento e orizzontale, senza guizzi, quegli approcci non all’altezza, ma ho bene in mente le difficoltà di cominciare a fare il tecnico in un anno senza precampionato, con la lotteria dei positivi, senza pubblico, in una squadra fortissima, sì, ma anche un po’ sfamata dopo nove anni di indigestioni. E non dimenticherò le due coppe, che rimarranno sempre nel museo e ci hanno fatto esultare, come questo finale da Juve, con tre vittorie da squadra vera e il posto Champions acchiappato alla fine. Ciao anche a te, grande Andrea, e poi magari è solo un arrivederci.

E ora, cara Juve?

Cresce Cherubini, lo conosciamo poco ma è qui da tanto tempo e allora complimenti e coraggio, sai meglio di noi che comincia il bello ma anche il periodo difficile, quello in cui basterà sbracciarsi in tribuna o dire una cosa non gradita nelle interviste per sentirsi dire con toni gravi che lo stile Juve non c’è più, che non sei all’altezza del ruolo, com’erano i belli con Marotta, con Paratici, eccetera eccetera. Non preoccuparti, nulla di nuovo: più avanti (speriamo molto in là) toccherà a chi verrà dopo di te sentirsi dire che si stava meglio con Cherubini, e così via all’infinito.

E ora eccoci, Max. Bentornato, intanto. Un allenatore eccellente, un uomo capace di trasmettere leggerezza anche nei frangenti più delicati, capace di riempire quel bicchiere di acqua vuoto in poco meno di tre settimane; un tecnico incredibilmente vincente, con i suoi cinque scudetti e quattro coppe Italia in cinque anni. Il timore è solo uno, indotto dal pensiero che la nostalgia sia sempre una tentazione fortissima nei momenti difficili e che non sempre assumerla come guida sia la scelta più saggia: erano sempre più belli, i tempi in cui eravamo giovani e vincenti, chissà se provare a riviverli si rivelerà la scelta più giusta.

A proposito, è in arrivo la stessa parabola anche per te, lo sai già. Dopo gli anni dei successi a volontà in cui però, a detta degli esperti, mancava il fantomatico bel gioco di chi non vinceva mai, i due anni senza Juve sono stati quelli della tua consacrazione, perfetta per attaccare l’ambiente Juve anche in quel caso: “come avete fatto a lasciare andare via quel fenomeno?”, con interviste e risate annesse, magari negli studi da cui venti mesi prima ci veniva spiegato che il tecnico pluricampione d’Italia non era in grado di allenare una grande squadra in modo adeguato.

Ma ora basta, il passato, le vittorie e gli addii di qualche tempo fa non importano più: conta solo il futuro, che la Juve riprenda a comandare il calcio italiano, che il progetto con l’allenatore sia convinto e duraturo, che si guardi avanti e non indietro. Che riprenda l’avventura. E che ricominci l’Allegrimania.