In questi giorni di pausa forzata, con la nostalgia per il pallone che cresce con incredibile forza di ora in ora, mi sono ritrovato spesso a vagare con la memoria, alle origini della mia passione per il Napoli.
Si potrebbe pensare, con molte ragioni, che tutto porti a Diego. Inevitabile, certo, ma non scontato. Parlerò in altre occasioni del Diez, perché oggi vi vorrei portare più indietro nel tempo. All’alba del ritorno degli stranieri in Italia, quando nella stagione 1980-1981 approdò in riva al golfo uno dei giocatori più eleganti che si siano mai visti su un campo da calcio: Ruud Krol.

Mi rendo perfettamente conto che per tantissimi, il suo nome al massimo potrà risultare un’eco lontana, sbiadita non solo dal passare del tempo, ma soprattutto dalla luce abbagliante e accecante di Maradona, che in fin dei conti sarebbe arrivato a Napoli solo quattro anni più tardi. Si badi, però, per la nostra generazione, Krol rappresentò un inconsapevole ed elettrizzante antipasto dell’esaltazione collettiva, di cui saremmo stati protagonisti e testimoni, con il fenomenale argentino. Perché Ruud faceva parte della più bella squadra che si sia mai vista, l’Olanda del Calcio Totale.

Non è una frase fatta, quella Nazionale orange esprimeva un gioco e delle manovre che non si erano mai viste prima e che non sarebbero mai più state ammirate. Un unicum nella storia dello sport più popolare al mondo. E Krol ne era uno dei perni, riuscendo a interpretare la sapienza tattica del profeta Rinus Michel, con un’eleganza che in Italia praticamente non avevamo mai visto.

Ruud, pescato in una sorta di prepensionamento a Vancouver, in Canada, a Napoli non vinse nulla. Buon ultimo di una lunghissima serie di stelle, che avevano esaltato prima lo stadio del Vomero e poi il San Paolo, senza riuscire ad arrivare a quel benedetto scudetto, per cui sarebbe stato necessario il divino Diego. Eppure, non c’è tifoso del Napoli di una certa età o più giovani studiosi e storici dell’avventura azzurra che non individuino nell’olandese un punto di svolta. Perché con la sua presenza, il mostruoso carisma, la capacità di dare sicurezza alla difesa e al centrocampo, tamponando e facendo ripartire le azioni, Krol riuscì a trascinare, praticamente da solo, una squadra appena più che normale a un passo dal titolo.

Bisogna essere onesti: il Napoli del 1981 non meritò lo scudetto, perdendosi nel momento decisivo, da primo in classifica, in casa contro una formazione già retrocessa, il Perugia. Per la mia generazione, lo storico autogoal del povero stopper Moreno Ferrario (al 1’ minuto di gioco e mai recuperato!), a cinque giornate dalla fine del campionato, è una ferita mai rimarginata. Era aprile, c’era il sole, ottantacinquemila spettatori ufficiali e chissà quanti imbucati, nel catino di cemento del San Paolo. Quel giorno, se ne andò non solo lo scudetto, ma l’idea di potercela fare, anche senza essere del tutto attrezzati.

A ben pensarci, fu un bene, anche se quella maledetta domenica soffrimmo tutti, dai ragazzini come noi ai tifosi con i capelli bianchi. Pochi anni dopo, il Napoli avrebbe saputo non fermarsi al pure immenso Maradona, costruendogli intorno una squadra degna della sua mostruosa classe. Krol, da solo, non ce l’avrebbe mai potuta fare. Diego forse sì, ma è stato importante crescere e maturare, fino al sogno realizzato del 1987.

La storia insegna sempre, anche nel calcio, che la memoria è fondamentale per maturare di continuo. Fu decisiva allora, in un calcio completamente diverso, ma non meno difficile. Lo sarà anche oggi, al cospetto di avversari economicamente più strutturati, ma non imbattibili per decreto. Ancor meno, nella fase di profonda incertezza a cui ci avviamo tutti quanti.