Siamo in regime di pausa per la Nazionale. Portate pazienza. Ne approfittiamo per fare un passo indietro – piccolo, per carità – e tornare a Inter-Juve dell’altro giorno. Anzi no, non parliamo della partita, ma delle sue conseguenze. Pronti? Via.

Qual è una delle usanze predilette da noi commentator-sportivi? L’amplificazione dei fatti, nel bene e nel male. Soprattutto nel male. La drammatizzazione degli eventi ci piace assai. Il melodramma, poi, si amplifica in presenza di una delle più grandi piaghe mai esistite da quando il pallone rotola: esatto, la pausa per la Nazionale di cui sopra.

Nel corso degli ultimi giorni si è parlato molto del ko interista, lo abbiamo analizzato, sviscerato, approfondito. E quindi i nerazzurri hanno perso perché “hanno la rosa corta”, “senza Sensi perdono i sensi”, “Lukaku non funziona”, “si è fatto sentire l’impegno di Champions” eccetera eccetera.

È tutto vero, ci mancherebbe. Ma è anche tutto parecchio relativo. L’Inter ha perso per un solo, vero motivo, banale quanto volete ma certamente decisivo: è meno forte della Juve, più indietro di parecchi anni nel processo di crescita che ha portato i bianconeri a disporre di una rosa composta da soli campioni, che tra l’altro guadagnano uno sproposito (e un motivo ci sarà).

L’Inter ha perso perché ha giocato una partita imperfetta e, forse, non sarebbe bastata neppure la partita perfetta. Lo ha detto bene Conte qualche giorno fa: “Per competere con la Juve è necessario che combacino due fattori: noi non dobbiamo sbagliare niente, la Juve deve incepparsi in qualche modo. Se loro viaggiano secondo il loro potenziale non ci sono speranze”. E il dato di fatto è che non solo Conte ha detto una cosa sacrosanta, ma soprattutto che domenica, a San Siro, è capitato l’esatto opposto: i nerazzurri sono stati imperfetti, i bianconeri precisi come frati certosini.

Diciamola tutta, dopo le prime sei giornate un po’ tutti cavalcavamo un pensiero: “La squadra di Sarri ha praticamente sempre vinto, ma lo ha fatto in qualche modo, senza brillare veramente. Contro l’Inter rischia”. E invece no, contro l’Inter la Juve ha fatto la Juve, come se le partite con le piccole fossero solo un disturbo da scansare con il minimo sforzo, al contrario dei match più complicati dove è normale metterci davvero la testa. Ronaldo, per dire, è stato impressionante. Lo è quasi sempre, ma a San Siro il suo essere “superiore” si è manifestato alla massima potenza. E se il portoghese gira, se Pjanic gira, se gli ex esuberi Dybala e Higuain girano beh, allora c’è davvero poco da fare.

L’Inter ha perso e abbondano musi lunghi e voci petulanti: tra i sostenitori che immaginavano un risultato diverso (legittimo), tra i commentatori che (gran furbastri) fino a ieri l’altro osannavano (“Conte è immenso, la società sa quello che fa!”) e ora rivoltano la frittata (“Conte può molto, ma non tutto. E la rosa è difettata, dovevano comprare di più l’estate passata”).

Succede sempre così, è normale, ma la verità è che non ci sono misteri o troppe analisi logiche da mettere sul piatto: la squadra di Milano procede (bene) nel suo processo di crescita, nel tentativo di accorciare le distanze con chi da anni le sta davanti (il Napoli, per dire, e in quel caso sembra tutto meno complicato), lo ha fatto fino al match con i bianconeri e lo farà ancora. Oh, in fondo la classifica parla chiaro.

Dall’altra parte bisogna rendersi conto – e capire, e accettare – che i miracoli sportivi, per definizione, sono merce rara. L’Inter in definitiva ha un solo, enorme obbligo morale: mettercela sempre tutta. È l’unico modo per evitare eventuali “rimpianti di maggio”. Così farà: Conte e i suoi proveranno fino in fondo a dare fastidio ai rivali di sempre, nella consapevolezza che la discriminante tra “il vincere” o “l’averci solamente provato” non dipenderà soltanto da lei.

Pace e bene, saranno dieci giorni lunghi, lunghissimi.