Giacomo Raspadori è la sintesi di forti, grandi, speranze. Della serie: quando entri dalla finestra, all’ultimo minuto e arrampicandoti come un trapezista, l’augurio è che possa uscire dal portone dorato con tutte le accoglienze del caso. Traduzione: Roberto Mancini ha scelto lui, classe 2000 e un talento che nessuno si permetterebbe di mettere in discussione, per l’ultima e forse non sorprendente irruzione sulla barca azzurra.

Gli Europei sono ai nastri di partenza, lo yacht Italia è pronto a salpare e venerdì ci sarà il primo assaggio in mare aperto, contro la Turchia all’Olimpico. Lo yacht è full optional, il lusso non sfrenato all’improvviso ma costruito dopo anni e anni di lavoro, con la magistrale regia di un allenatore che ha saputo riciclarsi in selezionatore senza pretese, proclami o chissà cosa. Nel full optional manca quel diversivo che aiuta sempre i commissari tecnici con un minimo di fantasia: procuriamoci un aliscafo che, nel giro di mezz’ora, possa rassicurarci in caso di improvvise mareggiate. Una scelta auspicabile prima, quasi come se fosse un plebiscito popolare e anche di chi ha ammirato Giacomino nel corso di una stagione strepitosa.

Una scelta che è diventata realtà: quel motoscafo è parcheggiato dentro lo yacht azzurro, si chiama Raspadori. Se ci fosse la necessità, potrebbe andare in mare aperto con risultati già conosciuti da tutti, malgrado la sua giovanissima età. Non è un’illusione, piuttosto una concreta speranza.

Abbiamo una tradizione incredibile in tal senso, quasi come se fosse una catena che non si spezza. Mondiali ’90: la ribalta è di un certo Totò Schillaci, che spunta più o meno nei pressi dell’ultima curva e ci prende per mano con i suoi gol, figli di un’adrenalina impressionante e di un fiuto con pochi precedenti. Schillaci ci porta fino alla semifinale di Napoli, poi va buca contro l’Argentina dell’Imperatore Diego ma sogniamo a occhi aperti fino alla fine e non a caso quelle vengono chiamate notti magiche “inseguendo un gol”, cantando con Gianna Nannini e sulle orme del mitico Totò.

Otto anni prima, è il memorabile 1982, succede qualcosa di straordinario perché l’indimenticabile Paolo Rossi, semplicemente Pablito per sempre nei nostri cuori, recupera visibilità sorpassando in curva e sul rettilineo: sembra l’ultimo della compagnia e diventa titolare fisso. I tre gol al Brasile lo sbloccano, da quel momento il rettilineo diventa una discesa fino al tetto del mondo, una botta di vita che manda in brodo di giuggiole un popolo intero. L’intuizione di un fantastico gestore come Enzo Bearzot, corsi e ricorsi che tornano di moda quasi 40 anni dopo. L’Italia non chiede a Raspadori di vincere da solo l’Europeo, sarebbe un’esagerazione oppure- meglio ancora – una mezza follia.

L’Italia chiede a Raspadori di rinfrescare l’album degli eroi che salgono sul tram in corsa e lo sanno guidare in mezzo al traffico, malgrado ostacoli altissimi. Se vogliamo, bisogna essere onesti, si tratta anche di un tributo alla meritocrazia: il campionato propone, un commissario tecnico leale non può fare a mano di raccogliere il messaggio. E Mancini l’ha fatto, puntuale, come se si trattasse di una margherita profumatissima.

Raspadori è reduce da un campionato incredibile, il fattore sorpresa che nessuno si aspetta. Al punto da incassare in premio una fascia da capitano, il sorprendente assortimento di chi riesce a garantire lo stesso rendimento se gioca titolare oppure se entra dalla panchina. Tanti spot per poterci girare una sigla a colori, il gol dell’anno, quello in casa del Milan, il secondo per una clamorosa vittoria del Sassuolo, uno stop perfetto, una sterzata da consumato asso dell’area di rigore, un diagonale imprendibile. Roba che, se non ce l’hai nel sangue, è impossibile che ci riesca: non parliamo di qualità dal punto di vista tecnico, quelle sono comuni a tanti ragazzi della sua età; parliamo della personalità, si chiama freddezza e istinto del killer, nel passare dalla teoria alla pratica senza farsi asfissiare da chissà quali emozioni.

Lui è freddissimo, una lastra di ghiaccio, incredibilmente cinico. “Mi aspiro a un certo Aguero”, dice Giacomo con cura dei dettagli anche quando parla. Ha scelto il Kun perché il Kun negli ultimi venti metri è il manifesto dell’attaccante che sa cosa andarsi a prendere senza che qualcuno debba obbligatoriamente chiederglielo. È normale che Giovanni Carnevali, quando gli parlano di mercato, mantenga le distanze posizionandosi a 30 chilometri di distanza da qualsiasi abbozzo di trattativa. Intendiamoci, che il ragazzo abbia molti pretendenti è un rigore a porta vuota, basterebbe calciare a occhi chiusi. Ma è altrettanto automatico che il Sassuolo respingerà qualsiasi tipo di assalto, la prossima sarà la stagione della consacrazione anche in presenza di Ciccio Caputo che è stato blindato non troppi giorni fa. Il Sassuolo probabilmente sacrificherà Locatelli, forse Boga, ascolterà eventuali proposte per Berardi, ma sulla conferma del rampante classe 2000 ci sono davvero pochissimi dubbi.

Intanto, memorizziamo queste dichiarazioni firmate Raspadori come se fosse una rasoiata imprendibile, sotto l’incrocio. “Lasciatemi sognare, è tutto così incredibile”. “Sarebbe bellissimo fare come Paolo Rossi”. E così ha replicato Federica Cappelletti, la moglie dell’indimenticabile eroe del 1982: “Paolo avrebbe sorriso con orgoglio. Sarebbe il massimo se un giorno Raspadori potesse indossare la maglia azzurra con il numero 20…”. Basta e avanza per accendere un sogno. Anzi, per viverlo come se fosse un passaggio del testimone.

Roberto Mancini l’ha intuito in tempi non sospetti: ora è pronto a mettere in moto, sussurrando “Giacomo, Giacomo”, la nostra carta non più a sorpresa che può valere – chissà – il banco agli Europei ormai in rampa di lancio.