Non è stata una bella settimana per il Napoli. Neppure un po’.

L’esito dell’appello, contro la sconfitta a tavolino con la Juventus e relativo punto di penalizzazione, era tutto sommato scontato. Non lo erano di sicuro le motivazioni che hanno gettato un’ombra scurissima sulla società del presidente Aurelio De Laurentiis.

Un’ombra inaccettabile per chiunque faccia sport. Nella sentenza d’appello, infatti, sostanzialmente si certificherebbe il tentativo truffaldino del Napoli di costruirsi la scusa perfetta, per non andare a giocare la partita contro i campioni d’Italia. Fino all’intervento risolutivo dell’Asl, nel tardo pomeriggio del sabato precedente l’incontro. Una vera e propria macchinazione, per essere chiari, contraria ai più elementari concetti di sportività e onorabilità. Un atto d’accusa di inusitata durezza, pur in un mondo – quello della giustizia sportiva – in cui ne abbiamo viste di tutti colori.

Da osservatori esterni, risulta francamente difficile riscontrare questi profili di estrema gravità, individuati nel comportamento del Napoli, anche osservando ciò che sta accadendo in queste ore, con gli interventi delle Asl sui giocatori convocati dalle nazionali.

La verità, come qui scrivemmo nel pieno degli eventi, è che ci si è mossi in un contesto solo scarsamente regolamentato, facendo riferimento in modo esclusivo ad un protocollo che ha mostrato tutti i suoi limiti alla prima prova. Da qui a certificare slealtà sportiva e una volontà di frodare il sistema, ci sia consentito, dovrebbe passare un oceano.

A questo punto, è scontato il ricorso a tutti i gradi successivi della giustizia sportiva (il Coni) e soprattutto a quella ordinaria, dove inevitabilmente questa vicenda vivrà il suo epilogo. Come era apparso chiaro sin dai primi giorni.

È sempre una sconfitta quando il mondo dello sport è costretto a ricorrere alla giustizia ordinaria, per la sua cronica incapacità di sviluppare una giustizia interna e autoregolamentarsi, in modo degno di quell’iper-professionismo di cui spesso si straparla. E basta.

Comunque la si guardi, questa è una brutta storia, destinata a lasciare scorie molto pesanti nei rapporti fra alcuni dei club più importanti della Serie A, ma soprattutto fra istituzioni che dovrebbero rappresentare tutti e il Napoli, in modo specifico il suo presidente, non di rado messo all’indice per alcuni comportamenti oggettivamente sopra le righe. Varrebbe la pena ricordare a tutti i moralisti dell’ultima ora, però, che il Napoli è una delle pochissime società non disastrate di questo mondo fatto di lustrini apparenti e ‘sostanza‘ economica spesso marcia. È singolare come del Napoli spesso si scelga una descrizione macchiettistica e caricaturale, legata alla vulcanica personalità del suo proprietario, dimenticando una gestione attenta e severa, che è una novità quasi assoluta nella centenaria storia del club.

La fortuna, se così si può dire, è che la sentenza sia arrivata in una settimana senza impegni di campionato e coppa, permettendo a Rino Gattuso di lavorare e soprattutto di far decantare le emozioni, in vista della ripresa. Ripresa con il botto, con l’arrivo a Napoli dalla capolista Milan per la prima, vera partitissima di questa stagione. Gara che potrà dire molto sia dei rossoneri che degli azzurri, due squadre considerate alla vigilia del campionato in seconda fascia, rispetto a Juventus e Inter e anche alla stessa Atalanta. Una grande partita, a prescindere da chi potrà prevalere, testimonierebbe quanto siano stati frettolosi certi giudizi della breve estate che ha preceduto la nuova stagione. Anche senza far arrabbiare mister Gattuso, parlando di scudetto.