Vere? Di facciata? Scontate? Dovute?

Il dibattito sulle parole di Nedved è aperto. L’unica certezza, ai miei occhi, è che sono parole che arrivano al momento giusto, quando tifosi, ambiente e magari anche qualche giocatore pensano a un Pirlo sfiduciato, a un futuro certamente senza di lui, a un futuro diverso e a un presente ormai in disfacimento: è qui che la società non deve lasciare solo l’allenatore, fregandosene di qualche mugugno social e spiegando ai calciatori che il tecnico è uno, la Juventus crede in lui, quindi dovranno essere loro ad adeguarsi e a tirare fuori ogni energia che hanno. Non c’è il capro espiatorio, la stagione è viva, c’è un progetto, gli alti e bassi erano previsti: testa bassa e pedalare. Anche perché non farebbe onore a un gruppo capace di imprese fantastiche il passare dal non credere più in Allegri al non avere mai del tutto sopportato Sarri fino all’aver già scaricato Pirlo, così, a marzo del suo primo anno da allenatore.

Parole opportune, quindi, ma vere? E qui entriamo in un altro campo, al momento a noi sconosciuto. Non conosciamo la risposta: la scopriremo a maggio, quando capiremo se la stagione è finita in crescendo o si è ulteriormente sfilacciata, se davvero Pirlo e Ronaldo saranno ancora qui, se Dybala sarà oggetto di qualche trattativa come è parso di capire dai toni e contenuti di Pavel.

E sia chiaro, è giusto così: i dirigenti sportivi sono tenuti a mandare i messaggi auspicabilmente più produttivi per i risultati e il prosieguo della stagione, non a dire la verità.

Pirlo, Ronaldo, Dybala: non se ne esce, i temi sono questi tre.

L’allenatore. Il problema non è neanche l’attuale posizione di classifica (da mantenere assolutamente, peraltro) o l’eliminazione (giusta e sfortunata) con il Porto: ha ragione Nedved nel chiarire che gli alti e bassi, in questa stagione, erano stati messi in preventivo. La questione, semmai, è la cronicità di determinati atteggiamenti: quella mollezza iniziale, i primi tempi regalati, la capacità di aggredire solo quando si va sotto e tutto è più difficile, quel giro palla estenuante con poca intensità e aggressività, anche quando il tempo scorre e non può bastare chiedere meno frenesia. Il dilemma: se una squadra in campo non mostra abbastanza intensità, sin dal principio, è responsabilità dell’allenatore che non sa trasmettere le giuste motivazioni o di un parco giocatori di qualità ma carente in termini di personalità, voglia di vincere, capacità di trascinare? Se la risposta è la prima, dopo qualche mese di Pirlo possiamo dire che questo al momento è un punto debole.

Ben più dei risultati, come detto, che dipendono da te, certo, lo abbiamo appena spiegato, ma anche da episodi, assenze e tanto altro (in cui la sua Juventus, quest’anno, non è stata sempre fortunatissima).

Ronaldo. Se ne parla fin troppo. Ci sono tre punti fermi, prescindendo da discorsi di brand, spese e introiti: 1) in questi anni è stato eccezionale; 2) può darsi che qualche giocatore di poca personalità si appoggi troppo spesso a lui, rendendoci dipendenti dalla sua forma e dai suoi umori (qualcuno cita la splendida reazione con la Lazio in sua assenza, altri al contrario la poca incisività della squadra in differenti occasioni in cui è mancato); 3) il dibattito sul futuro è legittimo: sarebbe comunque l’ultimo anno, compirà 37 anni, la sua partenza potrebbe liberare risorse importanti per avviare un nuovo ciclo, di certo sarebbe complicatissimo trovare a cifre ragionevoli un attaccante che ti garantisce più di 30 gol a stagione. Parliamone, insomma, ma ponderiamo tutto, senza farci prendere dalla delusione del momento.

Dybala. È il nome più divisivo, anche perché in campo quasi non ce lo ricordiamo più. C’è chi pensa che sia il futuro capitano e chi che non abbia mai dimostrato di avere compiuto l’ultimo salto di qualità promesso e auspicato: da giocatore di grandissimo talento e spesso decisivo a campione continuo e di un’altra categoria, al livello dei top mondiali.

Personalmente, appartengo a una terza fazione, quella di chi vorrebbe solo rivederlo in campo, perché quest’anno quei 10-15 gol mancano terribilmente. Il futuro può attendere, il presente no e c’è da augurarsi che da aprile torni davvero con noi: il contratto, le trattative, la conferma, la cessione, al momento, mi paiono del tutto secondari.

La verità è che stiamo vivendo la prima stagione difficile e comprensibilmente siamo divisi un po’ su tutto, tranne su altre parole di Pavel. Che ci ricorda che inseguire a volte è normale, ma non lo è passare dalle medie all’università sempre con lo scudetto sul petto: siamo a oltre 3200 giorni e probabilmente, come sempre nella vita, il tenore dell’impresa lo capiremo più avanti, appena il ciclo sarà concluso. O temporaneamente interrotto, che mi piace già di più.