L’Italia, dunque, tornerà a Wembley, laddove aveva eliminato con grande fatica l’Austria fisica e testarda dell’ottimo Franco Foda, tedesco di Magonza con sangue italiano nelle vene. Il sei luglio, alle ventuno. E ci tornerà per affrontare la Spagna nella semifinale degli Europei di calcio, dopo aver eliminato meritatamente il Belgio, ancora una volta eterno incompiuto di una grande manifestazione pallonara.

Certo loro, i belgi, possono attaccarsi in qualche modo all’assenza di Eden Hazard – in tutta franchezza non è che il ragazzo stesse smuovendo folle di tifosi con giocate pazzesche – e alla non perfetta condizione fisica di Kevin De Bruyne, quando si accende fa paura, forse il centrocampista attualmente più forte al mondo, ma va anche ricordato il rigore generoso, mooooolto generoso, assegnato dopo una qualche titubanza dal signor Slavko Vincic.

Direzione di gara insufficiente, sempre troppo vicino al giro palla azzurro, senso della posizione di dubbia efficacia, gestione della partita non esaltante aiutato più dalla professionalità dei giocatori in campo che dalla sua capacità di giudizio. Forse ha sentito l’importanza dei novanta minuti oltre il dovuto nonostante sorrisi di circostanza distribuiti in lungo e in largo.

Grazie alla sua decisione i diavoli rossi hanno accorciato le distanze e riaperto l’esito finale della sfida a una manciata di secondi dal termine di un primo tempo durante il quale, fatta eccezione per un paio di ripartenze fulminee con ottime parate di Donnarumma, ci hanno capito poco o nulla. Intendiamoci, giusto per non essere compresi male: il rigore ci può stare, al limite ma assai al limite vista l’entità della spinta di Di Lorenzo. Però stiamo parlando di un quarto di finale della massima manifestazione continentale per rappresentative nazionali e i rigori devono essere chiari e lampanti. Altrimenti, se il metro di giudizio è quello, ogni contatto in area deve essere punito col tiro dagli undici metri. Punto.

Torniamo alla partita, perché la Nazionale ieri ci ha giustamente esaltati. L’accoppiata Bonucci-Chiellini ha tenuto alla grande lo strapotere fisico di Romelu Lukaku, terminale offensivo lasciato spesso e volentieri troppo solo contro le due vecchie volpi del calcio nostrano: ora, anche all’Inter spesso Romelu viene servito spalle alla porta sulla tre quarti avversaria. Ma, in nerazzurro, oltre agli inserimenti dei compagni, il gigante di Anversa può contare su un partner d’eccezione, Lautaro Martinez, che il Belgio non ha. Quindi, una volta arginata la furia del numero nove avversario, gli azzurri si sono potuti concentrare su un giro palla di primo livello contornato da raddoppi incessanti sul portatore avversario. Perché chiusa la fonte del lancio là davanti e difesa della sfera di Lukaku, i nostri avversari hanno proposto poco o nulla, sempre a rincorrere gli azzurri o, meglio, il pallone che gli azzurri si scambiavano di prima a mo’ di torello.

Il senso di appartenenza, di squadra vera, l’Italia lo ha raggiunto nella gara più complicata, opposta ai numeri uno del ranking FIFA, per quanto personalmente del ranking non è che mi interessi molto. Ma, è un dato di fatto, ieri sera i ragazzi di Mancini hanno insegnato il concetto di gruppo: guardate e riguardate i movimenti dei calciatori azzurri, guardate e riguardate gli aiuti al compagno in difficoltà, il non nascondersi mai. Segno, evidente, della maturazione di una squadra composta da ottimi giocatori ma senza il campione con la C maiuscola. E in questo Roberto Mancini ha messo moltissimo del suo.

Ora, dopo i Diavoli Rossi, le Furie Rosse: la Spagna fin qui, Slovacchia a parte (ma quel pomeriggio Skriniar e compagni avevano spento la luce), non ha mai esaltato. Questo, sia chiaro, non significa nulla. Dobbiamo azzerare mentalmente ciò che è stato fatto finora, il Mancio è in grado di farlo capire benissimo ai suoi. Wembley ospiterà l’ennesima battaglia calcistica italiana: il penultimo passo verso una finale tanto agognata quanto insperata.
Da dedicare in primis a Leonardo Spinazzola: coraggio Leo, siamo, e sono, tutti con Te!