Così l’Italia di Roberto Mancini è ripartita. Ha iniziato un percorso nuovo, accantonando con peana e ringraziamenti molti degli eroi dell’Europeo vinto lo scorso anno per fare spazio a una fresca nidiata di giovani virgulti che, negli intendimenti dei vertici pallonari italici, dovrebbe riportarci quanto meno ai prossimi Mondiali, mi vien da aggiungere finalmente. Diventa delittuoso continuare a seguire la manifestazione da casa, spettatori poco interessati con annessa depressione dell’intero movimento calcistico indigeno. Senza scordarci delle notevoli ripercussioni economiche, in peggio ovviamente: la Serie A, oggi, vale un decimo della Premier, tanto per essere chiari. E non è che lo raccontiamo per il gusto di seminare polemica o zizzania: lo dicono i fatti, lo riportano i numeri, i soldi spesi per acquistare, nel mondo, i diritti e degli uni (nella fattispecie la Premier per l’appunto) e degli altri (noi). Sei miliardi e qualche spicciolo i primi contro seicento milioni dei secondi: il resto, mancia. Al di là delle belle parole, dei calendari asimmetrici, dei playoff o di chissà quale altra diavoleria per raccattare qualche soldino in più e rendere il prodotto godibile a una platea internazionale. Io non penso sia questa la strada, mia personale opinione, chiaro.

Tornando alla Nazionale, argomento più interessante, il doppio impegno con Germania e Ungheria valido per la Nations League, sulla cui inutilità ci sarebbe da scrivere tanto, ci ha restituito una squadra, un gruppo, un insieme di ragazzi con tanta voglia e altrettanta grinta. Lo spettacolo davvero di basso livello offerto contro l’Argentina, una dimostrazione di impotenza a cui raramente avevo assistito da quando seguo il calcio, sembra un brutto sogno lontano nel tempo e nello spazio. E, se da un lato i magiari non è che rappresentassero un ostacolo insormontabile, con tutto l’affetto e il rispetto dovuti, la prestazione coi panzer tedeschi è valsa ben oltre il punticino raccolto: la giovane Italia ha giocato alla pari, a tratti meglio, ha rischiato di vincere andando in vantaggio, ha mostrato voglia e volontà che si erano un po’ perse dopo l’abbuffata dell’Europeo vinto a sorpresa, diciamocelo pure che non si offende nessuno.

Niente pancia piena, niente appagamento per la maggior parte dei nuovi: solo gran desiderio di correre, lottare, mostrare a tutti il volto fresco di una Nazionale quasi obbligata, dagli eventi appena trascorsi, a intraprendere un cammino diverso per cercare di rinverdire i fasti del tempo che fu. Ovvio, stiamo parlando sempre e comunque dei maledetti Mondiali, senza però caricare di troppa pressione i giovanotti chiamati dal Mancio per una sorta di rifondazione non totale, di certo più che parziale. E se la Germania di Hans Dieter Flick, prima del pareggio con gli azzurri sette vittorie in altrettante uscite, ha rappresentato un esordio complicato anche se, alla fine, i primi a rammaricarci per il pareggio siamo noi, con l’Ungheria è andato tutto liscio. Due gol, dominio totale del campo, gioco arioso, di prima, veloce, quasi a sfiancare l’avversario con un pressing continuo e ossessivo, vittoria indiscussa e indiscutibile, ben oltre lo striminzito due a uno finale. Ecco, casomai lascia pensare un filo la gestione a tratti ansiosa del vantaggio dopo il gol subito, del tutto immeritatamente aggiungo senza timore della benché minima smentita. Stiamo parlando di particolari e, soprattutto, della beata gioventù sommata alla poca conoscenza degli interpreti azzurri: questione di tempo, di sincronismi su cui lavorare, di maturità da raggiungere. Lo dicevamo già nel dopo Argentina: ci sarà da soffrire, da correre, da sudare. Sarà un percorso lungo. Ma vale la pena sostenere questi ragazzi. Senza fretta, senza frenesia, senza pressioni inutili e dannose.

Alla prossima.