Di solito, nelle grandi manifestazioni tra nazionali, la partita inaugurale è quella che fa tremare le gambe, difficilmente leggibile, vera cartina di tornasole al di là di come sia andato l’avvicinamento all’evento. Beh, se il famoso buongiorno si vede dall’altrettanto famoso mattino, l’Italia s’è desta, eccome. Questo è il risultato utile numero ventotto di fila, 28 in cifre, che uno dice vabbè, con la Lituania. Poi vabbè, con la Finlandia. Eddai, il Liechtenstein. D’accordo, forse il palmarès di qualche avversario non è di quelli da spavento, però… però, quando poi vedi una squadra giocare come gli azzurri hanno fatto ieri sera contro la Turchia, a Roma, con gli occhi della critica addosso, con l’Europa a guardarti, col mondo a seguire il fischio d’inizio della manifestazione continentale, hai poco da dire.

Complimenti, ringraziamenti a Mancini per il lavoro svolto fin qui, applausi per lo spirito con cui la Nazionale scende in campo senza guardare chi ha di fronte. Perché chi è convinto dei propri mezzi affronta gli avversari così: continuando a imporre il proprio gioco, cercando di svolgere ciò che si è studiato e ripetuto in allenamento. E la facilità con cui la banda Mancio dispone dell’avversario è, talvolta, imbarazzante: superiorità tecnica e mentale. Non parliamo di una squadra infarcita di fuoriclasse, inventori della giocata, fini dicitori dell’alfabeto pallonaro. L’Italia è costruita su solide fondamenta. In campo lo vedi, te ne accorgi, capisci quando il famoso gruppo è un semplice concetto astratto o, come nel nostro caso, un vero agglomerato di uomini all’interno del quale ciascuno porta le proprie capacità senza strafare, correndo per il compagno, recuperando al suo posto, coprendo la sua zona se l’altro è fuori posizione. 

Nella festa organizzata per l’avvio dell’edizione 2021 del campionato europeo, fuochi d’artificio, Bocelli, palloncini svolazzanti, la paura della stecca c’era, parliamoci chiaro. Oltretutto non andavi ad affrontare una rappresentativa nazionale di terza o quarta fascia. La Turchia non sarà il Brasile di Pelé e Garrincha, assolutamente no, ma è una squadra fastidiosa, complicata da sorprendere e tosta soprattutto nel reparto arretrato: ricordiamo Gunes e i suoi si sono qualificati da secondi subendo soltanto tre reti nel proprio girone. Insomma, tutto poteva rivelarsi quel trappolone, quella buccia di banana che nel pallone capita quando meno te lo aspetti; e capita, altro che no. Poi la pressione, a cui abbiamo accennato poco sopra: sapere di scendere in campo con tutti quanti attenti a ciò che fai non è semplice, senza scordarci il peso specifico della maglia azzurra, mica facile da vestire e non per tutti.

Invece, dopo una decina di minuti nei quali gli azzurri hanno tergiversato, anche balbettato calcio a voler essere critici, è suonata la sveglia: un po’ sul modello Ivan Drago in uno degli innumerevoli Rocky, il numero 4 a memoria, con Roberto Mancini a urlare dalla panchina e i ragazzi a cominciare quell’opera di demolizione pallonara lavorando dapprima ai fianchi per poi colpire e chiudere la gara. Il tutto nonostante qualche fischio arbitrale particolare anzi, a ben vedere, qualche non fischio del signor Makkelie, olandese nato in mezzo all’oceano Atlantico, a Willemstad, isola di Curacao, il quale sorvola bellamente su un fallo di mano che più mano non si può, senza rovinare la festa. 

Il monologo azzurro, 24 tiri verso la porta avversaria, 65% di possesso palla, 8 calci d’angolo, chi più ne ha più ne metta, raggiunge il culmine nella ripresa, complice una sfortunata deviazione nella propria porta di Demiral ad aprire le danze, ma a sensazione si trattava solo di aspettare pochi minuti, coi turchi letteralmente dominati in lungo e in largo. Il tre a zero offre un quadro preciso della partita anzi, forse va addirittura stretto all’Italia, prima nazionale nella storia del calcio ad aver vinto nove partite consecutive senza subire gol. Mica roba da tutti.

Ora sotto con la Svizzera, cliente che si usa definire ostico. Sì, certo, ostico quanto volete ma, se gli azzurri manterranno questa convinzione e questa concentrazione, i problemi non saranno nostri, piuttosto dei nostri avversari.