Il Napoli, come tutti, non ha alcuna certezza del proprio futuro. Inutili le fughe in avanti, come l’annuncio della scorsa settimana della ripresa degli allenamenti, fissata proprio per oggi, 25 marzo. Non ci si può che arrendere alla realtà dei fatti. Comprensibile il tentativo della società di fissare un minimo di agenda della ripresa, perché sono in gioco ingenti risorse finanziarie, tutt’altro che infinite.

Solo un’azione coordinata del governo del calcio, però, potrà mettere in sicurezza il sistema. Pura illusione pensare che le singole squadre abbiano forza e strutture sufficienti ad affrontare il cataclisma. Siamo in terra incognita, il calcio farà bene a rendersene conto e a mettere i piedi saldamente per terra. L’alternativa è il default e non solo delle singole società.

Il Napoli, del resto, sa come si fa: sa come si può emergere dal nulla e trovare nel sistema, pur con tutte le mancanze e gli errori, un alleato. Fra le grandi del pallone italiano, con l’eccezione della sola Fiorentina, il Napoli è l’unica squadra ad avere toccato con mano la dissoluzione e subito dopo la resurrezione.
In questi anni splendenti, i tifosi azzurri hanno finito per dimenticare in larga parte da dove si sia partiti. Nei primi anni 2000, mica un’era calcistica fa, il Napoli non si chiamava neanche Napoli. Era il Napoli Soccer, risorto dalle ceneri di una grande storia e di un’incredibile mala gestione, sfociata in un inevitabile fallimento. La squadra da Champions League, che oggi fatica terribilmente a riempire lo stadio San Paolo, pochi anni fa conobbe l’onta e l’amaro dei campi di battaglia della serie C. Conobbe il sapore della sconfitta in una finale, sì una finale, ma per la promozione in serie B. Battuta dall’Avellino, la squadra di provincia guardata per anni con il sopracciglio alzato, ai tempi della serie A irpina.

È facile ricordare Diego, per chi ha qualche anno in più è facile ricordare Rudy Krol, Totonno Juliano, addirittura Omar Sivori e José Altafini. È molto più difficile, ma anche maledettamente utile, ricordare il Napoli Soccer, Bogliacino, Grava… ricordarsi che la stella è stata a lungo il Pampa Sosa. Lo dico con profondo affetto e massimo rispetto. Chi ha sperimentato il lato oscuro della vita, anche sportiva, finisce per essere più pronto, più reattivo davanti agli imprevisti. Si adatta più in fretta, non solo per il banale motivo di ‘esserci già passato’, ma perché la mente è allenata all’elasticità. Dote fondamentale, quando la partita si fa dura.

Sapere, ricordarsi da dove si arrivi è tutto nella vita: l’orgoglio per la forza di questi anni, la continua crescita, gli straordinari calciatori che hanno vestito la maglia azzurra negli ultimi due lustri, non devono cancellare il ricordo. Lo devono amplificare. Perché ora che siamo davanti all’incredibile, proprio adesso più che mai, dobbiamo ancorarci a ciò che siamo stati capaci di fare nella vita. Anche nella piccola avventura del calcio. Chi è riemerso, come l’araba fenice, dal Napoli Soccer, finendo per sfidare il Real Madrid, il Barcellona e il Manchester City, non può aver paura di nulla. Neanche dell’impensabile.