Oggi, avremmo dovuto scrivere della semifinale di ritorno di Coppa Italia. Sembra una vita fa, un altro calcio, in un altro mondo. Questa è la realtà, comunque, inutile strapparsi i capelli, necessario farci i conti e soprattutto evitare gli imbarazzanti balletti, che hanno mortificato il nostro amato pallone solo poche ore fa.

Uno spettacolo deprimente, per un movimento che dovrebbe cogliere l’occasione dell’emergenza per prendere coscienza del proprio valore sociale. Non è solo un gioco, insomma.

Il Napoli, intanto, finisce in riposo forzato, come tutte le squadre mandate in campo nello scorso weekend, nel pieno di cervellotiche liti. Parlando di pallone, la sosta arriva nel momento meno propizio per gli azzurri. In risalita, sia nei risultati, che nel gioco, gli uomini di Rino Gattuso avrebbero avuto tutto l’interesse a restare concentrati al massimo, scendendo in campo e giocandosi la stagione, proprio in questi giorni. Pur comprendendo la posizione di Aurelio De Laurentiis, che ha semplicemente replicato quella della Juventus, in vista della semifinale di Coppa Italia, è lecito chiedersi se sia stata la mossa più conveniente, dal punto di vista tecnico. Detto che la partita quasi certamente sarebbe stata rinviata autonomamente dal Prefetto, il Napoli avrebbe probabilmente fatto meglio a giocare a porte chiuse, piuttosto che rinviare l’appuntamento a una data fumosa e impronosticabile, mettendo a rischio l’unico trofeo realisticamente alla portata, in questa complicata stagione.

È quel che succede, quando non si affronta un problema con una visione strategica, ci stiamo riferendo a tutto il calcio e non ad una singola società, ma facendosi dominare da interessi di parte. Tirando le somme, rischiano tutti di perderci qualcosa, se non troppo.

La situazione è questa e da qui dovremo ripartire, compreso un Napoli messo a riposo per un paio di giorni. Decisione comprensibile del tecnico, ma comunque rischiosa. Sarà complesso riprendere, in un’atmosfera surreale, non sarà automatico ritrovare la concentrazione feroce della partita d’andata con il Barcellona. Non stiamo parlando di macchine, infatti, ma di uomini e organismi complessi, le squadre. Queste ultime sono il frutto di equilibri delicatissimi, che nei prossimi giorni saranno sottoposti a sollecitazioni spesso in contrasto tra di loro. Toccherà a Gattuso trovare il metodo, per non ricadere in vecchi vizi, non a caso frutto il più delle volte di una scarsa applicazione mentale.

C’è di più, però: l’attuale crisi del sistema calcio è il frutto di una palese inadeguatezza dei vertici. Emergerà chi sarà in grado di assumere posizioni funzionali all’interesse comune. Distinguendosi dalle coltellate al buio, che hanno caratterizzato gli ultimi sette giorni. Aurelio De Laurentiis ha un’opportunità: avanzare proposte, sfruttando la sua naturale capacità di ragionare fuori dagli schemi. Non di rado messo alla berlina e sottovalutato, proprio per il suo modo di esporsi, in realtà il presidente del Napoli è uno dei pochi capaci di ragionare non in modo scontato e prevedibile. Il salto di qualità potrebbe arrivare, assumendosi la responsabilità di cercare alleati per progetti di ampio respiro. Non gestire solo asfitticamente l’emergenza, ma guardare lontano.

C’è un modello da non seguire, proprio in queste ore: il presidente della Juventus, Andrea Agnelli. Non perché il problema da lui sollevato ieri non esista, cioè conciliare il sacrosanto diritto sportivo con la dimensione finanziaria dello sport professionistico moderno, ma perché identificarlo nell’unica, bella storia, che in questo momento il calcio italiano possa vantare, l’Atalanta, è un errore di comunicazione madornale. Tale da oscurare qualsiasi altra considerazione.

È il momento di far emergere idee vincenti, disruptive come si usa dire oggi, ma nell’interesse comune. De Laurentiis è a capo di una società sana, vincente da anni (vincente non è solo chi alzi dei trofei, ma anche chi sappia garantire continuità di risultati, stabilità finanziaria e crescita costante del brand), potrebbe e dovrebbe assumersi delle responsabilità superiori. Non limitarsi ad andare al traino del capo-cordata di turno. Battersi, insomma, per traghettare il calcio italiano in una dimensione più credibile.

E questo varrebbe qualche scudetto.