Un’impresa, ma non una sorpresa. Che il Napoli abbia i numeri, per vivere grandi nottate di calcio lo si sapeva anche prima che la rediviva banda di Gattuso riuscisse a battere la Juventus. Questo, allo stesso tempo, è però consolazione e monito.

Era settembre, quando gli azzurri impressionarono l’Europa giocando alla pari e battendo meritatamente il Liverpool. Era autunno inoltrato, in campionato già si scricchiolava, quando la squadra allora di Ancelotti giocò alla pari, sempre con il Liverpool ad Anfield Road. Insomma, i picchi di qualità non sono mancati, anche in questa disgraziata stagione. Ciò che è venuto completamente meno, almeno per tre mesi, è stata l’idea di squadra. Questa, in definitiva, è la vera novità di domenica sera. Aver rivisto un collettivo e non più una mera somma di individualità, che nessuno ha mai messo in discussione.

Qui, arriva il monito: il Napoli ha già abbondantemente dimostrato di saper dimenticare quale sia l’unica strada per ottenere grandi risultati. Dovesse ricascare nel vizio, a cominciare dalla sfida apparentemente abbordabile di lunedì a Genova con la Sampdoria, si riproporrebbero i medesimi fantasmi di 10 giorni fa. Il malato non è guarito, è convalescente.

Da quando il calcio è calcio, del resto, le grandi sfide, gli avversari più forti, sono la morfina delle squadre in difficoltà. Non a caso, Gattuso è stato chiaro, nel fissare il primo obiettivo: quota 40 punti, vale a dire la salvezza. Ciò che 12 mesi fa sarebbe apparsa una bestemmia calcistica, oggi è una linea tracciata dal pragmatico tecnico calabrese. Riprendiamo a fare il nostro dovere, è il suo messaggio, rimettiamoci in carreggiata e poi vediamo dove saremo e cosa potremo fare.

Testa, dunque, ma anche lavoro sul campo: Gattuso ha lavorato palesemente sulla condizione atletica e mentale della squadra. Ora il Napoli corre e non arriva più regolarmente secondo sulla palla. Andatevi a rivedere le ultime partite dell’era Ancelotti, accadeva esattamente il contrario. Per rinfrescare squadra e spogliatoio, poi, è risultato fondamentale l’innesto dei nuovi acquisti. Qui è doveroso fare i complimenti a Giuntoli e alla società, giustamente criticati, per la schizofrenica gestione, nella fase dell’ammutinamento. Aver pescato Demme dal Lipsia, pagandolo una manciata di milioni, appare il classico colpo da maestro. Diego (quanto è dolce scriverlo…) è il giocatore che serviva, al posto che serviva. Non avrà la tecnica di Jorginho, ma è dai tempi dell’italo-brasiliano, che il Napoli si arrangiava nel vertice basso di centrocampo. Lo ha fatto con Hamsik prima e con Allan e Ruiz poi, sempre con effetti disastrosi o quasi. Mettere ciascuno al proprio posto è spesso il primo passo, per diventare santoni della panchina. Demme, in misura minore Lobotka visto ancora poco, appaiono la catarsi di Fabian Ruiz, talento cristallino, troppo preso a specchiarsi. Quanto prima lo spagnolo riprenderà a guardare i propri compagni e non solo la propria bellezza, meglio sarà per lui e per il Napoli.

Il talento è tanto, ma non sarà mai tutto su un campo da calcio. Fabian potrebbe ogni tanto buttare un occhio al suo nuovo allenatore in panchina, ripassare carriera e trofei di Rino, e trarne ispirazione e ammonimento. Non solo lui, sia chiaro, perché troppi al Napoli hanno perso il senso della realtà e anche un po’ del dovere, prima di ricominciare a fare le cose come si deve. Scruteremo il broncio di Gattuso, per capire quanto la squadra e l’ambiente si stiano rimettendo in carreggiata.