Potersi rammaricare, con non poche ragioni, di un pareggio con il Barcellona, dà la misura della partita e della prestazione del Napoli. L’umiltà è ormai diventato il marchio di fabbrica della squadra azzurra, da quando hanno cominciato a vedersi gli effetti del lavoro di Rino Gattuso. Un’umiltà lucida, intesa come strada per ritrovare se stessi e non un modo per mascherare debolezze.

Come ricordato dallo stesso allenatore, ieri sera, il Napoli non è una squadretta. Anzi, la cifra tecnica dei partenopei resta di spessore assoluto e non sembri un’esagerazione sostenere, ad esempio, che la panchina azzurra apparisse superiore a quella del Barcellona. Tutto questo, però, vale finché si è a palla ferma. Non si deve mai dimenticare che stiamo parlando di una squadra reduce da un collasso collettivo, ora nel pieno di un faticoso percorso di ricostruzione morale.

Il gruppo sta cercando di ritrovare se stesso, partendo proprio da quell’umiltà, imposta dal suo allenatore come modalità di pensiero, prima ancora che di gioco. Progressivamente tornano anche quelle sicurezze di un tempo, che hanno permesso di soffocare il Barcellona, costringendolo a uno sterile e perlopiù insulso Tiki Taka. Certo, l’errore di posizionamento sul goal del pareggio resta ed è evidente, ma l’1-1 finale non è il frutto di affanni difensivi, piuttosto di imprecisione sottoporta.

Questo è un punto-chiave: il Napoli ha avuto tutte le migliori occasioni da rete dell’incontro, se si eccettua la conclusione a botta sicura di Griezmann, peraltro un fantasma per tutto il resto della partita. Gli azzurri, dunque, hanno sbagliato molto, ma lo hanno fatto davanti a ter Stegen e solo in un’occasione (fatale), nella propria area di rigore.

Il Napoli, ieri sera, ha ricordato a se stesso e all’Europa di essere una signora squadra, già capace di mettere sotto l’invincibile Liverpool di questa stagione. Non siamo ingenui, la qualificazione si è molto allontanata e non saranno i complimenti a sovvertire questa realtà. Siamo certi, comunque, che Gattuso sia intimamente soddisfatto di quanto visto, soprattutto perché la serata di coppa ha rappresentato un ulteriore, ma molto significativo passo in avanti, nella sua opera di ricostruzione. La trasferta a Barcellona, a questo punto, resta una tappa ghiotta e affascinante, ma anche quella a cui è giusto chiedere meno, nel tentativo di dare un senso ad un’annata, che poteva finire in tragedia calcistica. Per dirla tutta, il Napoli rischierà molto di più nella semifinale di Coppa Italia, contro l’Inter, che nella trasferta impossibile del Camp Nou. Quella notte potrà essere vissuta con la mente leggera e coltivando l’idea folle di fare la storia. Nessuno, comunque vada, potrà rimproverare nulla al gruppo, dopo aver visto l’armata di Leo Messi sbattere inutilmente la testa contro il muro di anime creato da Gattuso.

Questa deve essere l’eredità della notte di coppa, una partita non bella, ma di quell’intensità, che solo alcune serate europee sanno regalare: indicazioni importanti e confortanti, sia per questa stagione, che per la squadra che dovrà ereditare la memoria della splendida macchina da goal che fu.

Il collante fra il prima e il dopo c’è e ha un nome: Dries Mertens. In queste ore, come è giusto, sono i numeri a farla da padrone, a cominciare da quel 121, quanti i goal segnati in maglia azzurra. Record di Hamsik eguagliato dal belga. Una mostruosità, se pensiamo quanto poco fu pagato Dries e che all’inizio della sua avventura napoletana faceva sostanzialmente da cambio a Lorenzo Insigne.

C’è molto di più, nella parabola di Ciro, diventata una favola calcistica moderna. Ricordato che, a tutt’oggi, questo fenomenale calciatore potrebbe concludere la sua carriera lontano da Napoli e che nel pallone del terzo millennio far parlare il cuore espone a un enorme rischio di brutte figure, una vocina ci dice di sperare e rischiare ancora una volta.

Magari Mertens rimane, magari Ciro non ammaina l’ultima bandiera.