Super Mario accanto a Re Zlatan: meglio il Milan non avrebbe potuto fare. Ragioniamo con il senno del prima, dopo è troppo facile per tutti, ma se avessero voluto costruire una coppia più motivata, più esplosiva, più tecnica, più carismatica, non avrebbero potuto trovare meglio di Mandzukic accanto a Ibrahimovic. È anche una questione di motivazioni, quelle forti – fortissime – che magari molto spesso ti portano a conquistare il mondo. Oppure ad attraversare l’oceano con una barca a vela, puntando sulle straordinaria capacità di chi sta al timone e non soltanto sul mezzo che utilizzi per provare a compiere un’impresa. In fondo, è la storia di questo Milan sempre più lanciato, con una chimica ormai memorizzata al punto da superare ogni tipo di difficoltà. Aggiungere il “marinaio” Mandzukic è stata la mossa perfetta, un’ulteriore pennellata su un quadro già ricco di colori bellissimi.

Partiamo dalle famose motivazioni perché quello è spesso lo start che innesca qualsiasi altra cosa. Mandzukic andò via dalla Juve come se fosse stato il problema tra i problemi, una vicenda gestita non bene dalla società anche se poi tutti – il solito scaricabarile – sono stati bravi a dare le colpe a Maurizio Sarri. Quattro stagioni a grandissimi livelli, i sacrifici tattici che lo portarono a coprire ruoli diversi pur di mettersi a disposizione di Allegri, avrebbe meritato una carezza in più. Mandzukic, orgogliosissimo come tutti i croati, inizialmente giurò addio all’Italia, alla Serie A, alla mancanza di chiarezza e di comprensione. Per questo motivo disse no alle proposte che gli arrivarono già in quel periodo, nell’estate 2019: voleva davvero tagliare la corda magari ripartendo da un calcio più remunerativo e meno tecnico.

Disse sì all’Al-Duhail ma si pentì molto presto: non poteva essere la soluzione migliore per uno che, prima della Juve, aveva respirato l’aria del Bayern Monaco e dell’Atletico Madrid. Svincolatosi lo scorso luglio, Mario stava aspettando sull’altra riva del fiume la soluzione migliore, la stessa che potesse dargli motivazioni speciali: il Milan. Per questo motivo ha respinto almeno quattro proposte da un anno e mezzo di contratto rispetto ai sei mesi sottoscritti con il club rossonero e rinnovo automatico in caso di qualificazione alla prossima Champions. Ecco che i 6 mesi diventerebbero 18 se il Milan centrasse il ritorno nella coppa che appartiene al DNA della società, ma cosa volete che siano i soldi rispetto all’eccitante desiderio di essere un nuovo frequentatore di San Siro?

Le famose motivazioni, quelle che non hanno un prezzo, un deposito o un conto in banca da gonfiare.
Se avesse scelto una Serie A qualsiasi, con tutto il rispetto, sarebbe stato un modo per tornare in azione senza la giusta selezione che invece ha fatto. Sono stati scritti trattati di filosofia, forse esagerando un po’: il placet di Ibrahimovic, il sì di Zlatan, il via libera necessario per completare l’operazione. La premessa è fondamentale: il Milan è andato dritto alla meta da subito, senza alcun tipo di condizionamento e non è stato certo la positività al Covid di Calhanoglu a dare gli impulsi decisivi. Il Milan aveva deciso di chiudere in pochi giorni, le parole di Ibrahimovic dopo le due prodezze (le ennesime) di Cagliari non sono una benedizione ma qualcosa in più. Ovvero la voglia di fare la “guerra” con Mandzukic, della serie: prima c’ero soltanto io, adesso è arrivato lui.

Che poi sarebbe: ben vengano i campioni se alzano il tasso qualitativo della squadra in un contesto che comprende giovani di grandissima qualità e che ha bisogno di qualche mestierante che sa come coccolarti e come prenderti per mano quando le cose non vanno come dovrebbero. Mandzukic entrerà in punta di piedi, ci metterà l’orgoglio per essere protagonista il più possibile. Se vogliamo, sarà tutt’altro che un bagno economico (meno di due milioni fino a giugno), piuttosto una grande opportunità. E non può certo reggere la tesi che Mario sarebbe, sarà, la grande alternativa a Ibra quando lo svedese avrà voglia di rifiatare: chi l’ha detto?

Sono nati per giocare in coppia, magari all’interno di un 4-2-3-1 che preveda Mandzukic largo a sinistra, Calhanoglu centrale e un esterno offensivo a destra, tutti al servizio di Zlatan. Con Leao che può diventare la mina vagante, pronto a fare rifiatare entrambi e quindi con un minutaggio sempre molto alto: il Milan su di lui ci ha sempre creduto e continuerà a crederci ora che gli ha messo accanto due giovanotti dalla classe infinita e dalla straordinaria personalità.

Se non bastassero le parole, sarebbero sufficienti i numeri che raccontano di gol o di trofei inseriti in bacheca con una continuità impressionante. Ibrahimovic ne ha conquistati 31 con il condimento di 541 gol; Mandzukic è a quota 23 con 233 reti già andate in archivio. Il totale è di 54 trofei e la bellezza di 774 gol: basterebbe questa sintesi per capire quanto sia stato importante per il Milan metterli l’uno accanto all’altro come se si avvertisse la necessità di collezionare “comandanti” di spessore per vincere quella che sembra una “guerra” impossibile.

Parliamoci chiaro: da almeno due mesi c’è chi aspetta il crollo rossonero in campionato, magari tre sconfitte consecutive che possano certificare un presunto fuoco di paglia. Molto presunto, evidentemente, si tratta di gufi che vivono soltanto di questi mezzucci e non accendono i riflettori su una realtà certificata dai fatti e non da mille chiacchiere. Il resto dice che il Milan è meritatamente in testa alla classifica: non sappiamo se basterà per vincere lo scudetto, di sicuro è fin qui bastato per dare uno schiaffo a tutti i detrattori che non hanno avuto la minima fiducia su un lavoro che va avanti da mesi e mesi con continuità senza precedenti. Basterà oppure no, il Milan ha avuto la geniale idea di affiancare Mandzukic a Ibrahimovic, l’intuizione perfetta per provare a rendere indimenticabile una grande stagione.