Dries Mertens e una storia infinita: ha segnato 141 gol con il Napoli, nessuno più di lui. Neanche l’indimenticabile Diego, l’uomo che ha scritto la storia del club e che resterà nella memoria per sempre. Certo, Dries è a Napoli da una vita: luglio 2013 quando la trattativa con il PSV Eindhoven andò rapidamente in porto e si spalancarono le porte del Maschio Angioino per quel ragazzo belga che la città avrebbe imparato ad amarla. Ora siamo qui, otto anni e mezzo dopo, a celebrare la sua grande fedeltà, il senso di appartenenza, l’attaccamento di uno che è come se fosse nato lì.

Lo chiamano Ciro, è lo scugnizzo di tutti. Mertens ha vissuto un momento complicato nella tarda primavera del 2020 quando sembrava sul punto di firmare per l’Inter. Un contratto, il biennale alle cifre che aveva chiesto, Romelu Lukaku in pressing della serie “del Belgio con furore”. Romelu lo avrebbe voluto accanto e in compagnia di Lautaro, nessuno poteva immaginare che oltre un anno dopo avrebbe fatto le valigie per traslocare in casa Chelsea. Bene, quei momenti hanno sintetizzato l’enorme amore di Mertens per la città e quindi per il club. Immaginate di avere una penna in mano, il contratto sotto il naso, un autografo che in dieci secondi può cambiare la vita e la carriera.

Eppure Ciro disse “no, grazie”, voleva aspettare il Napoli, non se la sentiva di lasciare più o meno da traditore come avevano fatto prima di lui Cavani e soprattutto Higuain. I bene informati giurano che il grande feeling con Gattuso, a quei tempi allenatore in carica, sia stato decisivo. In realtà, il cordone ombelicale era molto più importante di qualsiasi disquisizione. Dice Dries, quando si sveglia ogni mattina e quasi sempre trova il sole: “Come posso immaginare di tornare in Belgio?”. In quella famosa primavera inoltrata disse no all’Inter per firmare un biennale con De Laurentiis: due milioni al momento del nero su bianco, una base da 4,5 milioni a stagione, una spruzzatina di bonus che fanno sempre bene al conto in banca e sopratutto la felicità di vivere nella città che ama.

Mertens ha avuto Benitez, si è esaltato con Sarri, ha vissuto la parentesi Ancelotti, ha rispettato Gattuso e si è fatto trovare pronto allo sbarco di Spalletti. Fino a qualche mese avevano fatto scivolare il concetto come se fosse un riempitivo e non un passaggio essenziale. Adesso, che segna e sogna ogni minuto di più, è diventata una pratica essenziale. Il contratto scade a giugno, ci vorrebbe un altro bel biennale oppure un vitalizio che sarebbe meglio. “Prima o poi dovrò farmi da parte, il club ha acquistato giocatori forti”. Meglio poi che prima, lo pensa anche lui. E non vede l’ora di sbrogliare questa pratica, senza dover rivivere il tormentone – inutile – di scegliere un altro club o un’altra maglia, lui che ne ama soltanto una.

La metamorfosi di Mertens è una storia incredibile, la classica scalata senza limiti e senza paletti. Acquistato come seconda punta di gran talento dal gol facile e dall’assist facilissimo, l’emergenza del Napoli portò Maurizio Sarri a fare una scelta secca, decisa, convinta. Ciro prima punta, come se fosse Lewandowski oppure Kane. Sembrava un esperimento di brevissima durata, invece è stata una bandiera che il Napoli ha sventolato con la soddisfazione di aver trovato la chimica giusta per svoltare. Esattamente come quando entri in laboratorio da apprendista, dopo un po’ esci e ti rendi conto di essere diventato uno scienziato. Dries ci ha messo molto di suo, si è adattato senza battere ciglio, non ha preteso di giocare sulla stessa mattonella di sempre, non si è irrigidito come sarebbe accaduto all’80 per cento dei suoi colleghi.

La tecnica ha fatto la differenza perché uno come Mertens è nato per stupire: non ti lascia un riferimento, l’istinto si sposa con una classe purissima, non ce la fa proprio a siglare un gol brutto, neanche se ci mettesse tutto l’impegno di questo mondo. Dalla Lazio all’Atalanta, nel giro di tre partite ha offerto il meglio del suo repertorio, gli mancava soltanto una punizione sotto l’incrocio e avrebbe fatto bingo. Anche quella è una specialità della casa, ma nel frattempo ha collezionato talmente tante perle che faticheremmo a sceglierne tre. Semplicemente perché avremmo la quasi certezza di lasciarne fuori altre tre, belle almeno come le prime tre.

Mertens meriterebbe un vitalizio perché di uno come lui ci sarebbe bisogno alla fine dell’attività agonistica. Intanto, può essere uno straordinario alleato per i suoi giovani compagni di reparto, Osimhen compreso. E se il Napoli decidesse di prendere un altro attaccante con le sue caratteristiche, chi meglio di Dries potrebbe dare i consigli giusti? E poi, alla fine del film a colori su un terreno di gioco, magari con record battuto ogni volta di più, sarebbe bello se Mertens diventasse un dirigente, il rappresentante del club che ha amato alla follia al punto da resistere a qualsiasi tipo di tentazione. Non sappiamo indicare il ruolo, ora è soltanto una traccia e nulla più.

Ma qui dobbiamo riavvolgere il nastro, anche recente, e capire quanto sia importante la riconoscenza. Che poi è l’affetto maturato negli anni: Mertens non sarà mai Kessie che dalle Olimpiadi dice “appena torno firmo il rinnovo, non sarà un problema economico, voglio chiudere la mia carriera in rossonero”. Da quel giorno sono trascorsi quattro mesi abbondanti, non si è mossa una foglia, Kessie non ha rinnovato il contratto in scadenza con il Milan e neanche ha spiegato il motivo di quella dichiarazione. Mertens non commetterà un errore del genere, al massimo mormora “vorrei tanto restare” e se non lo interrompi magari aggiunge “vivo nella città più bella del mondo”.

Lui non è come Lozano che il giorno prima si sente pronto per un grande club (il Napoli cos’è, un optional?) e il giorno dopo ritratta perché le sue parole sono state male interpretate. Dries è tutto d’un pezzo, coerente, esattamente come quando va in campo e taglia a fette qualsiasi difesa. Basterebbe soltanto questo per quel famoso vitalizio, della serie: vedi Napoli e poi decidi di non andar più via.