L’Inter è sempre stata una squadra in perenne stato di tensione, sospesa tra l’andamento della stagione, le tribolazioni da dentro, le voci, gli entusiasmi e una pressione mediatica superiore a quella di qualunque altro club.
Gli ultimi undici anni hanno raggiunto lo zenit dell’ansia, a causa di vicende societarie che dopo il triplete hanno messo a nudo un debito da cui il club non ha più saputo uscire.

Tre presidenze cambiate e una possibile quarta, sotto la veste di un fondo come Oaktree, pronto a subentrare non appena Suning si dichiarerà indisponibile a saldare il debito a sua volta sottoscritto con il fondo, dodici allenatori, più di cento giocatori e una girandola di manager che hanno preso posto nella sede nerazzurra, con l’onere di riportare la società ai livelli che le spettavano. Ci è riuscito Marotta alla fine, grazie ai soldi di Suning e un progetto che sembrava definitivo. Spalletti prima e Conte poi, hanno creato una staffetta del tutto simile a quella che Moratti aveva messo in atto tra Mancini e Mourinho.

Il bubbone ha poi di nuovo rivelato che la proprietà, esteriormente solida, di Suning è una somma di incastri finanziari, politica e vicende taciute che hanno messo pesantemente nei guai l’Inter.
Il club come idea, sulla base di quello che sta accadendo, dovrebbe scegliere una stabilità e pianificazioni che non puntino solo al grande campione ma anche ad un maggiore ricorso a giocatori giovani, su uomini umanamente affidabili, riuscendo a costruire un progetto che non dipenda dalle ambizioni personali dei soggetti ma da una visione identitaria che escluda il più possibile egocentrismi.

In questi anni alcuni leader, per quanto determinanti, hanno creato un rapporto conflittuale con la società e l’hanno abbandonata senza pensarci due volte, proprio quando serviva che facessero un passo indietro.
Pensiamo a Ibrahimovic, che se ne è andato per vincere la Champions, poi sbattutagli in faccia proprio l’anno dopo dalla stessa Inter, a Mourinho che dopo soli due anni se ne è andato su una limousine del Real Madrid senza tornare a festeggiare la coppa con i tifosi, a Icardi che da capitano è arrivato agli stracci con i tifosi e se ne è andato tra il giubilo generale, a Conte che se ne è improvvisamente andato dopo averlo minacciato l’anno prima. Sono tutti personaggi il cui nome è legato giustamente alla storia dell’Inter, tranne forse Icardi che non ha vinto e ha creato un problema attraverso la moglie procuratrice senza precedenti.

Non si tratta di essergli riconoscenti o biasimarli per il modo in cui se ne sono andati ma della capacità che può avere l’Inter nel gestire la sua storia, affidandosi a uomini che antepongono sempre se stessi all’Inter.
Sono grandi personaggi ma è il momento che il club si metta nelle condizioni di gestirsi autonomamente, intraprendendo un percorso diverso nei criteri di scelta di quella che ha portato dei Napoleone a fare una breve ma intensa storia in nerazzurro.

Trapattoni è rimasto cinque anni, Herrera nove e dunque si può avere personalità senza essere sempre con le antenne dritte per prendere l’uscita (o la buona uscita) di fronte a grandi difficoltà. Se Beppe Marotta resterà il dirigente di riferimento del futuro ci saranno più possibilità che l’Inter possa fare questo salto di qualità perpetuo.
Oggi Simone Inzaghi, la cui qualità comunicativa è certamente inferiore alla capacità tecnica, appare più come un uomo tranquillo, semplice e non tormentato come Conte e per questo dovremo attendere di capire come verrà accolta dai giocatori la differenza caratteriale.

Senza Hakimi, poi vedremo se anche un altro dei giocatori più importanti della rosa, ad Inzaghi non si può chiedere di rivincere il Campionato ma di imparare in fretta sì.
Se dovesse fare una stagione di vertice potrebbe essere il primo tassello di un Inter non più schizofrenica ma con un progetto destinato a durare.