L’urlo di Esposito Sebastiano – attaccante in fasce, presente sul pianeta Terra da 17 anni e un centinaio di giorni, nato a Castellammare di Stabia, alto 186 centimetri, il più giovane esordiente in Champions con la maglia dell’Inter dai tempi di tale Zio Bergomi, eccetera eccetera – è il simbolo del cambiamento targato Conte Antonio. Quell’urlo lì, arrivato a un minuto imprecisato nel secondo tempo di Inter-Borussia Dortmund racconta molto di quello che sta accadendo nella nuova casa nerazzurra.

Cioè, capiamoci, Esposito Sebastiano in altri tempi sarebbe stato complemento d’arredo, avrebbe vestito i panni del giovanotto utile a completare le liste, di lui avremmo detto “sì farà, magari andrà in prestito, nel frattempo cresce con i grandi e sì, dai, va bene così”. No, non va bene così. Non funziona così nella testa di Conte Antonio, tecnico con le idee chiarissime.

Esiste un gruppo. È stato formato e pesato con precisione certosina nei giorni di luglio e agosto. Qualcuno se n’è andato, altri sono arrivati e, alla fine, i cancelli di Appiano sono stati chiusi a tripla mandata. In quel momento chi stava al di qua della ferrata ha capito di aver vinto una personale battaglia in quella che potremmo definire la “selezione contiana”. E magari avrebbe giocato subito e magari invece no, ma a un bel punto sarebbe arrivato il suo momento.

Ieri è arrivato quello del ragazzino, corteggiato nei giorni delle plusvalenze da svariati club, bloccato e rinnovato dalla dirigenza nerazzurra per tempo, perché uno Zaniolo ce lo potete anche fottere, ma dagli errori si impara, porca miseria. E allora eccolo lì: il pupetto entra in campo in un giorno di ottobre, non sente la pressione, si procura un rigore con l’accelerazione che hanno solo i giovani in salute (prima) e l’innaturale esperienza dei grandi (poi), carica il pubblico, si sbatte come un gastronomo alla Vigilia di Natale, dà modo al suo allenatore di dire “sì, ho preso una decisione buona e giusta”, permette a tutti noi di capire quel che gira per la testa della nuova guida tecnica (tutti sono utili, tutti).

Sono utili gli Esposito, sono utili i Gagliardini, è utile chi gioca sempre ed è utile anche Borja Valero che tocca il prato per soli 180 secondi ma mangia l’erba come se si trattasse di una questione di vita o di morte. Ecco, Borja Valero, il “vecchio” Borja: situazione opposta rispetto a quella del suo giovane collega ma stesso identico atteggiamento. Dare il massimo, dare tutto, che si tratti di 90 minuti, di mezz’ora o del tempo di ascoltare una canzone.

Ecco, tutto questo si chiama “Antonio Conte”, il sergente capace di tenere tutti sull’attenti, sempre. Per questo l’allenatore si era incazzato dopo Sassuolo-Inter 3-4: per mezz’ora non aveva visto la “sua” squadra e non poteva far finta di niente. La squadra ha risposto “ok, abbiamo capito” e lo ha fatto alla prima occasione buona, nel giorno del match da “dentro o fuori” (sì, di questo si trattava).

E pazienza se a qualche osservatore questa partita non è piaciuta, pazienza se hanno scritto “Inter brutta, buono il risultato”, pazienza se qualcuno non vede o non vuole vedere. L’Inter c’è e non è una questione di singoli, ma di insieme. Fanno 8 vittorie, 1 pareggio e 2 sconfitte nelle prime 11 uscite stagionali. È solo l’inizio, per carità, ma chi non sente puzzo di trasformazione, chi non riesce ad andare oltre il semplice “però contro i tedeschi per 20 minuti l’Inter ha sofferto nella sua area” beh, ha un problema che è solo, esclusivamente, decisamente “tutto suo”.