Dall’ultimo weekend ci portiamo dietro una straordinaria lezione di calciomercato. La Lazio è la prova provata che non serve spendere chissà quanto per frequentare l’autostrada della felicità. La Lazio è la prova provata che se investi cinque milioni per Luis Alberto e individui in tempi non sospetti il numero di targa di un certo Milinkovic-Savic, era addirittura il 2015, hai dato una bella lezione a chi per un cartellino mette sul tavolo 50 o 60 milioni come minimo e si interroga su un ritorno che non arriva, chissà perché.

C’è una formula, non tanto segreta, che dovrebbe appartenere a qualsiasi club. Questa: per fare le cose in un certo modo servono tre persone, non una mezza dozzina oppure nove o dieci in nome della confusione. Un presidente che metta a disposizione un certo budget, un direttore sportivo che abbia il fiuto giusto e trasformi le occasioni in affari, un allenatore che passando dalla teoria alla pratica individui la scorciatoia migliore per lasciare il segno. Nell’ordine, Lotito, Tare e Simone Inzaghi.

Quel Luis Alberto, abbandonato dal mondo del calcio come se fosse un optional oppure un riempitivo, è stata una fantastica intuizione da cinque milioni. E quando sottolineiamo cinque diventiamo rossi per l’imbarazzo con l’aria che tira e con le cifre che girano. Oggi “Lupo” Alberto è nel suo ruolo uno dei migliori d’Europa, quando diciamo d’Europa sottintendiamo il concetto che potrebbe legittimamente indossare qualsiasi maglia con la concreta possibilità di fare la differenza. Luis è il catalizzatore, l’uomo assist, anzi l’assist in persona perché quando gli lasci il pallone sai che lo metti in banca e che presto farà fruttare interessi insospettabili.

E cosa dire del Sergente, alias Milinkovic-Savic, corteggiato da Tare per mesi e mesi prima che la Fiorentina non decidesse di convocarlo in sede per il fatidico nero su bianco? Erano giorni torridi del 2015, Tare sperava, pregava e confidava che Sergej si ricordasse di quel tizio albanese che per primo gli aveva messo gli occhi addosso. Infatti, andò proprio così. Milinkovic-Savic aveva quasi la penna in mano per firmare e legarsi alla Fiorentina, poi gli venne uno scrupolo talmente grande – non posso tradire Tare e la Lazio – che lasciò quel foglio di carta immacolato e si precipitò a Roma sponda biancoceleste per mantenere quella promessa.

Se Lotito avesse voluto, qualche sessione di mercato fa, avrebbe potuto realizzare una cifra non troppo lontana da cento milioni. Disse di no, riuscì a resistere, quasi come se immaginasse una Lazio pronta a sfidare le grandissime del nostro calcio addirittura per quel triangolino tricolore da cucirsi sul petto. La lezione che arriva da Lotito e Tare, indipendentemente dall’esito del campionato, è che quando devono cedere un gioiello lo fanno alle condizioni loro e non importa se la differenza dovesse essere minima, anche nell’ambito di cinque o sei milioni.

La cifra è quella richiesta, altrimenti non si fa nulla. Contemporaneamente quando devono acquistare vanno a caccia delle occasioni più uniche che rare: affari da cinque o dieci, sapendo di poter rivendere a cinquanta o a novanta; una grande prova di forza. Resa possibile da un allenatore in sicura crescita come Simone Inzaghi, lo stesso che nel corso di questa stagione ha dimostrato – correggendo alcuni errori di ottobre o novembre – di essere il nuovo che avanza e che spesso sorpassa colleghi molto più autorevoli.

Non solo la Lazio come lezione dall’ultimo turno di campionato. Ma anche la storia del figliol prodigo: Gervinho voleva andare in Qatar, poi si è deciso (e ha firmato tardi), un gruppo intero a Parma si era sentito tradito. Lui ha aspettato il momento giusto per chiedere scusa, è tornato titolare e ha subito colpito sfruttando le sue armi in contropiede. Sullo stesso autobus, se vogliamo, c’è Dries Mertens che non aveva litigato ma c’è sempre la storia del contratto in scadenza che lascia un po’ di inquietudine nella quotidianità del Napoli. Nel frattempo il folletto belga si è preso la ribalta a Cagliari e ha deciso con una genialata delle sue. Sono 120 i gol con l’attuale club, a una sola lunghezza dal number one Hamsik. Le prossime settimane di Mertens, forse già i prossimi giorni, saranno inevitabilmente dedicate alla storia del rinnovo o dell’addio. Ma intanto lui “canta” in campo, l’unica cosa che conta.