Mentre nei commenti alla nazionale si riproducono esattamente le stesse dinamiche che abbiamo la fortuna di conoscere settimanalmente da decine di anni – “colpa dello juventino”, “vi espellono solo in Europa” e campionario ben noto, poco importa se quello ha il merito di avere rinviato il 2-0 per miracolo pochi minuti prima, se con l’altro compare “impunito in Italia” hanno regalato l’Europeo agli azzurri solo pochi mesi fa, se l’unico a giocare a calcio è Federico Chiesa, se giocatori brillanti solo quando scende il livello sbagliano gol a porta vuota o difensori discreti regalano una fascia agli avversari per un tempo intero – la Juve sta pian piano cominciando a mettere le cose a posto. 

Inutile specificare quanto ci sia ancora da fare, quanto sin da subito il calendario possa indurci ad arrivare a conclusioni opposte, con il tris Roma, Zenit e Inter a formare il vero e proprio bivio di questo inizio di stagione – se si vince, siamo in ballo ovunque; se si perde, ogni singolo obiettivo diventa più complicato – ma noi commentiamo di settimana in settimana e qui i passi avanti, dentro e fuori dal campo, vanno sottolineati con evidente sollievo.

Tre vittorie consecutive in campionato (e aggiungiamo il Chelsea in Champions) rappresentano una prima striscia positiva che denota continuità, un assetto più logico, una ritrovata voglia di portare a casa i successi senza pensare che debbano essere loro a venire da noi spontaneamente. No, bisogna andarseli a prendere, lottare fino all’ultimo secondo, che entri capitan Chiello a difendere e spazzare o il baby Kaio Jorge a tenere palloni, trovare falli, far salire la squadra nei pochi minuti a disposizione di fine derby. Un gruppo più compatto, in cui ognuno dà il suo contributo secondo i mezzi, l’esperienza, lo stato di forma che ha: sembra semplice, dovrebbe essere così, ma fino a poche settimane fa eravamo lontani da questo obiettivo. I buoni segnali arrivano anche da giocatori che deludono da troppo tempo, come Bernardeschi, costretto a cambiare mille ruoli, perdendosi, e poi nell’emergenza decisivo contro il Chelsea, o che non ci hanno fatto ancora capire bene chi sono e dove possono arrivare, come Dejan Kulusevski, finalmente devastante – palo, strappi, palloni conservati, minuti guadagnati – nel finale contro il Toro. La certezza di poter schierare due centrali difensivi tra quei tre scegliendo a caso, con la monetina, e non sbagliare mai; l’avere ritrovato il vero Alex Sandro e confermato la maturità di Danilo; il non sorprendersi più per come Juan Cuadrado sia tutto, regista, esterno, attaccante e difensore e cambi le partite quasi da solo; conoscere e apprezzare Locatelli, che gioca semplice, mette ordine e se gli va decide i derby con un tiro perfetto; rifiutarsi di spendere altre parole su Federico Chiesa, perché sennò poi tutti gli articoli diventano uguali.

Manca qualcosa, certo: un Kean continuo e prolifico come si richiede a un centravanti titolare o quasi della Juve (ma è appena tornato, diamogli tempo), il ritorno di Alvaro Morata e poi, ecco un altro campo in cui stiamo per rimettere davvero le cose a posto, quello di Paulo Dybala.

Che ha trovato l’accordo e dopo qualche mese di tribolazioni pare stia firmando davvero a delle cifre ragionevoli – anche su questo fronte stiamo rimettendo le cose a posto: non ci sono più margini per dispensare super stipendi, non è più tempo per farsi ricattare dalle richieste troppo esose di agenti e procuratori -, si appresta a tornare in campo con un contratto di altri 4 anni, da vicecapitano della Juventus, indossando la maglia numero 10, dopo tante stagioni con noi. È tempo, caro Paulo, di mettere a tacere i critici, di trascinare i compagni, di fare ancora più gol. In poche parole, di andare a prenderci tutto.