Ecco, di cosa avevamo bisogno. Di una serata in cui tutto va come deve andare e ogni singolo evento vuole comunicarci qualcosa.

La formazione, intanto, perché se la Juve dal centrocampo in su ha i suoi elementi migliori in Chiesa e Dybala (e Cuadrado), bisogna assolutamente insistere nel cercare di farli giocare insieme: spazio a Federico e Berna sugli esterni, in assenza di Juan, più Paulo davanti con Morata, sperando vivamente che arrivi un gol a restituire a quest’ultimo sicurezza, autostima e convinzione.

Qualche minuto di tensione – sono contratti quelli che giocano, siamo contratti noi che tifiamo – ed ecco che il numero 10 si libera e prende un palo, un altro palo, stavolta di destro. Premiamo, riconquistiamo palla, il pubblico si esalta per l’atteggiamento aggressivo e deciso della squadra, ecco un calcio d’angolo e poi un altro, il pallone finisce ancora a lui, al diez, che oggi la mette dove vuole, anche sotto l’incrocio facendola prima sbattere per terra, così è ancora più bello.

Uno a zero e ci proviamo ancora, poi però ci abbassiamo un po’ pur senza rischiare nulla, ma il nulla per noi non esiste, in questo nostro periodo bislacco, e allora un cross senza alcuna velleità trova la testa di Bonucci che la infila nell’angolo più lontano, dov’è impossibile arrivare. Siamo 1-1 e non sappiamo neanche come, ma anche da qui arriva un messaggio utile, perché questa è una squadra che da troppo tempo se diventa passiva prende gol. Rieccola attaccare, allora: altre occasioni e un risultato surreale a fine primo tempo, con un pareggio che dovrebbe essere un due o tre a zero. Come rientreremo? Perché è vero che anche con un pari saremmo qualificati e ancora primi, ma se prendiamo un altro gol sciocco come quello rischiamo di complicarci tutto sul serio e quindi  cosa prevarrà, la solita paura o il desiderio di attaccare?

La risposta arriva chiara e immediata: sale in cattedra Chiesa che divora la fascia sinistra e trova un rigore che in Italia non so se ci avrebbero concesso e certamente non ci avrebbero fatto ripetere (a proposito, ricordate la penosa tiritera sugli arbitri europei e scemenze simili? Ecco, quando le cose vanno all’opposto, quando i rigori ce li danno solo fuori dai nostri confini, quando vinciamo 4 partite su 4, a quanto pare, l’argomentazione evapora, puff, i direttori di gara europei in buona fede rispetto ai prezzolati italiani spariscono dai miseri discorsi di tanti brillanti tifosi rivali), Dybala sbaglia la prima esecuzione ma è perfetto sulla seconda: 2-1 con super Paulo e Federico in crescita, tanto che sappiamo che sta arrivando il suo gol e infatti eccolo, devastante come sempre, a superare i rivali e infilare il terzo gol sul secondo palo.

La squadra ha ancora voglia, McKennie gioca sempre meglio e rischia di fare un altro gol, l’unico punto interrogativo rimane Morata, che segna in fuorigioco, sbaglia un’altra rete e pare davvero azzeccare poco o niente. Ma certe serate hanno qualcosa di speciale e allora siamo tutti consci che ora tocca a lui, lo sa anche Dybala che lo serve per fargli realizzare il 4-1 e stendersi per terra, come a dire “ce l’ho fatta, grazie a tutti e scusate”. I messaggi non finiscono qua, perché ancora una volta la squadra si rilassa e prende il gol, stavolta il 4-2 che non sposta di una virgola il senso di una notte speciale e non sottrae neanche un applauso ai giocatori, finalmente convinti e decisi di dimostrare a noi, ma forse anche a loro, quanto possono valere.

E non conta niente che lo Zenit non sia il Bayern (non lo è neanche il Verona, d’altronde), non importa se il risultato avrebbe potuto anche essere più rotondo, passa in secondo piano perfino il brivido che abbiamo provato nel vedere un numero dieci giocare, segnare e riprodurre il gesto più bello del più grande che abbiamo mai visto con questa maglia.

Quello che conta, stavolta, è avere ottenuto i tre punti, la qualificazione, il momentaneo primo posto, avere rivisto il calore dello Stadium e il sorriso sul volto dei giocatori. Quello che conta, per una notte, è avere ritrovato la Juve.