Sono allo stadio, innervosito dall’andamento della partita e c’è un momento, mentre i russi sono in vantaggio, in cui mi viene in mente Juventus-Paris Saint Germain, andata delle semifinali UEFA del 1992-93. Gli avversari segnano presto (lì toccò a Weah), anche se attacchiamo quasi solo noi. C’è un esterno che crea diversi pericoli, lì Di Canio e stavolta Cuadrado, ma il pallone non vuole entrare.

Juan, che partita. In soli novanta minuti terzino, ala e trascinatore, difensore e attaccante, promotore di tutte le azioni più pericolose, con palloni messi in mezzo e colpevolmente ignorati da una squadra sempre all’attacco ma troppo poco vogliosa di aggredire dentro l’area. Non ci sono idee e sbocchi? Palla a lui, qualcosa succederà.
Il tifo non aiuta: applausi all’effimero gol dell’Atalanta apparso sugli schermi, per il resto soprattutto russi, scatenati, con cori incessanti utili a rendere il tutto ancora più negativo e surreale.

Batti, su, muoviti… Siamo nervosi e lo gridiamo al portiere, che perde secondi dalla mezz’ora del primo tempo senza che l’arbitro estragga mai il cartellino, permettendogli incredibilmente di arrivare senza un giallo a fine partita. Serve Higuain, esce Khedira che è mai riuscito a inserirsi davvero alla Khedira e in partite così, senza un vero centravanti, è fondamentale che l’area venga riempita da qualche centrocampista. Gonzalo si crea qualche occasione ma niente, stavolta non centra la porta e allora siamo ancora 0-1 mentre il tempo scorre, cinquantesimo, sessantesimo, settantesimo, non riusciamo ad essere davvero pericolosi, manca poco e al momento siamo terzi nel girone, in vista di una, a questo punto drammatica, sfida a Mosca a novembre inoltrato.

In un attimo si passa dal settantesimo al settantacinquesimo. Non possono essere passati già altri cinque minuti, mentre il portiere mi sta facendo innervosire e ci mette un minuto per battere ogni rimessa. Mentre il pubblico non capisce il momento e non fa molto altro se non scatenarsi esasperato nei confronti di quei rinvii ritardati. E non può bastare la vicenda giudiziaria a giustificare questo silenzio, perché certi cori, almeno i più semplici, li conosciamo tutti e tra le due curve e le tribune si deve trovare il modo per incitare la squadra, anche e soprattutto quando le cose paiono girare male.
Paiono.

Perché ce la passiamo e ripassiamo fino a creare lo spazio giusto per passarla a Dybala, fin lì a volte propositivo ma non abbastanza incisivo. E lui la aggiusta, la sposta e ha lo spazio giusto che ci induce prima a sperare e poi a esultare come matti, come se fosse la fine di un incubo e ora siamo di nuovo secondi, primo sollievo, e lo stadio è tornato una bolgia, secondo aspetto fondamentale. Ripartiamo subito, il loro portiere perde ancora tempo ma ora la Juve c’è, ci siamo anche noi tifosi e così diventa tutto possibile, anche che un minuto dopo Alex Sandro scarichi un sinistro da fuori, il loro amato ultimo difensore respinga e da dietro arrivi ancora lui, Paulino, per tenerla bassa e farci impazzire di nuovo. Sembriamo tutti impazziti, è cambiato tutto in due minuti e manca poco, con i rivali che perdono ancora tempo inspiegabilmente e non riescono a produrre più niente. E così arrivano tre punti goduti enormemente, però uno Juve-Lokomotiv che immaginavamo non da brividi e si è rivelato al cardiopalma.

Come a Torino, quella volta, in quella semifinale col PSG, che mi sono scordato di dirvi com’è andata a finire: abbiamo vinto 2-1, con due gol splendidi del numero dieci, tale Roberto Baggio.
E allora forza, Paulo, è tempo di spiccare il volo e non fermarsi più.