La cosa che fa più male è che fa sempre meno male. Dopo l’eliminazione mi trovo a scrivere di continuo questa risposta a chi mi chiede un parere, un commento, forse un conforto.
Sia chiaro: ho dormito poco e male, è dolorosa ed è dura ricominciare.

Cominci all’andata regalando – nel vero senso della parola – un gol dopo un minuto, giochi male, raddoppiano, a momenti fanno il terzo ma torni in partita, segna Chiesa (…) e alla fine dovresti tirare il rigore del 2-2.

Intanto si rompe mezza squadra, che torna a disposizione proprio per il giorno dei giorni: qualcuno acciaccato, altri con pochi minuti a disposizione, altri ancora non entreranno neanche. Vai subito sotto con un rigorillo così, fai un primo tempo pessimo nel quale pare che tu non abbia capito nulla di quegli altrettanto pessimi ottanta e passa minuti dell’andata. Poi, quando ormai te ne stai facendo una ragione, ecco i lampi: il gol di Chiesa (…), la sciocca espulsione del loro attaccante, il palo di Chiesa (…), il solito gol annullato a Morata per qualche centimetro, la seconda rete di Chiesa (…), la traversa surreale di Cuadrado all’ultimo minuto. I supplementari in cui sembriamo stanchi, un rigorillo su Ronaldo che però non viene concesso, la loro punizione che pare chiudere tutto grazie ai nostri orrori tra barriera e portiere, ma non è chiusa neanche stavolta perché segna Rabiot e a momenti facciamo pure il quarto, perché si potrà dire tutto ma non che non ci abbiamo provato fino alla fine. Ma finisce così, in modo rocambolesco, beffardo, amaro: non si può dormire bene, non è facile ripartire.

E perché, allora, farebbe meno male?

Perché la percezione di quest’anno, e in buona parte anche dell’anno scorso, è sempre stata che questa Juve non fosse e non sia in grado di competere per vincere la Champions. Certo, se passi ai quarti, ritrovi qualche giocatore, la forma, l’entusiasmo, alla fine non si sa mai e si può legittimamente sperare, ma l’ultima Juve che ho sentito essere in lotta per il trofeo è stata quella uscita con l’Ajax, l’ultima campagna europea (la prima deludente) di Massimiliano Allegri. Con il Lione (andata e ritorno) e con il Porto (andata e ritorno), la Juve è stata una squadra a volte distratta e apparentemente svogliata e senza idee (i due match di andata) e talvolta confusa, volitiva, a tratti dominante e anche un po’ sfortunata (le due sfide di ritorno). Non più un colosso in grado di fare paura a quei Real, Bayern e Barcellona, di ridicolizzare il Borussia di Klopp e vincere a Londra con il Tottenham nonostante una serie comica di errori arbitrali: una outsider, con un fuoriclasse senza età (che però ha un’età), alcuni campioni in là con gli anni, altri giovani emergenti (devo mettere ancora i puntini dopo ogni azione decisiva e devastante di Federico Chiesa?), scommesse in panchina (per quanto mi riguarda lo era Sarri e lo è Pirlo). Insomma, una squadra da cui non sai mai cosa aspettarsi, anche se dal primo lockdown in poi siamo stati più o meno sempre questi: alterni, a volte brillanti, altre con enorme fatica.

E vorrei fosse chiaro: per la mia visione della vita e quindi anche del calcio, l’anomalia non è che questo stia capitando, ma che stia accadendo solo oggi, dopo un periodo infinito di dominio assoluto in Italia e spesso di assoluta e massima competitività in Europa, partendo dal nulla di quei settimi posti. Prima o poi si sbaglia qualcosa: un acquisto, una cessione, un parametro zero, un allenatore. Prima o poi quello che prima ti andava bene oggi ti va male. Così se a Londra vieni dominato dal Tottenham ma alla fine esci vincitore, oggi dopo un pessimo inizio puoi prendere pali e traverse, ma alla fine vai comunque a casa.

Bisogna prendere atto: la Juventus è una squadra in fase di rinnovamento, con alcuni giovani su cui puntare, alcuni campioni in fase discendente (la questione dei prossimi mesi sarà relativa al futuro del Ronaldo spesso trascinatore ma stavolta inguardabile), un allenatore alle prime esperienze, un assetto dirigenziale ancora da definire.

Non c’è nulla di male, anzi è decisamente positivo avere individuato alcuni fantastici uomini del futuro, da de Ligt a Chiesa, su cui poter impostare un nuovo ciclo. L’importante è avere coraggio e idee chiare, come ha sempre dimostrato questo meraviglioso ciclo con Andrea Agnelli al comando.

Perché il giorno dell’eliminazione in Champions, se proprio dev’esserci, torni a fare male come prima, quando sentivi di essere lì lì, davvero a un passo dall’obiettivo.