Giocare tre giorni dopo un’altra sconfitta pesante e l’ennesimo linciaggio mediatico-giudiziario potrebbe non essere facile, ma la Juve stavolta va presto in vantaggio con un supergol di Dybala, se ne vede annullare un altro per fuorigioco millimetrico, domina, tranne 5 minuti di follia che potrebbero costare un surreale pareggio e invece, dopo il palo interno dei rivali, ecco il bel raddoppio di Alvaro Morata, altre occasioni, il rigore goffamente sbagliato da Paulo, tre punti e ora forza, proviamo a ripartire.

Se segnano gli attaccanti è sempre buon segno, ma tanto più in questo caso, perché sia Paulo che Alvaro hanno assoluto bisogno di trovare continuità e sicurezza, quindi benissimo così ed è importante anche che gli assist li abbiano fatti Kulusevski (forza, Dejan!) e Bernardeschi, anch’essi non in un periodo felicissimo. La Salernitana non si è rivelata un test probante, va detto, ma sappiamo altresì che siamo riusciti a complicarci partire inverosimili contro avversari non necessariamente così superiori ai campani affrontati ieri sera. Prendiamoci il buono, quindi, ben consci che già dal weekend si dovrà ripartire da zero, perché non è proprio tempo di tabelle (“ora vinciamo le prossime 4 e…”), ma piuttosto di match da affrontare uno per uno, con intensità, rispetto dell’avversario, coraggio, tutte cose che messe una accanto all’altra sembrano solo pezzi a caso di un discorso retorico fatto in qualche spogliatoio e invece ora sono tutte importanti, perché quando manca anche solo una di quelle componenti la Juve rischia grosso con chiunque.

Non facciamo finta di nulla, però, perché in questi giorni la partita si è spostata altrove, in un campo che conosciamo come nessun’altra squadra, quello delle indagini su di noi e titoloni indignati su temi iper diffusi e ben conosciuti da anni. La Procura di Torino ha una marcia in più, si sa, e se temi come l’abuso di farmaci, il rapporto complicato delle società con certi gruppi di tifosi organizzati e ora il fatto che le società aggiustino i bilanci anche grazie a plusvalenze e cifre gonfiate, nel resto d’Italia paiono non interessare, nel capoluogo piemontese invece sì, quindi telefoni intercettati e si parte, poi vediamo che si trova.

Ovviamente, inutile specificarlo, nessuno di noi può sapere cosa verrà fuori, può darsi che esistano carte vietate segrete, conversazioni compromettenti e comportamenti delinquenziali: noi non c’eravamo e quindi non possiamo giurare per nessuno. Certo, il fatto che i bilanci Juve siano ultracontrollati (si pensi al qualificato collegio di revisori) induce a pensare che non si vada a scoprire chissà cosa, ma magari ci sbagliamo, quindi il giudizio sulle carte, come sempre, lo daremo solo quando le potremo leggere.

Alcune conclusioni, tuttavia, le possiamo già raggiungere, per l’ennesima volta. È infatti già cominciata la tristemente nota trafila di titoloni, intercettazioni, allusioni, sentenze preventive, quando ancora non sappiamo assolutamente nulla, se non qualche tesi della procura, che come noto rappresenta solo una delle due parti, cioè l’accusa.

In un maturo stato di diritto, con un sano rapporto tra stampa e questioni giudiziarie, non può ripetersi costantemente lo stillicidio di conversazioni intercettate, senza neanche sapere chi siano i protagonisti, i toni, come reagisca l’interlocutore (“è peggio di calciopoli”, “volevamo essere il Real Madrid”, “la macchina ingolfata”, ecc). E, senza immergerci in complesse vicende giurisprudenziali o legislative, non ci vuole molto per comprendere che la tutela dell’indagato preveda che si diffondano solo intercettazioni ammesse in giudizio, mentre qui ancora non c’è neanche un giudizio, tantomeno un giudice. Stralci buttati lì così, titoli di condanna preventiva (“aria di stangata”, ecc), articoli in cui si afferma che la Juve probabilmente pagherà più di quanto accaduto anni fa a Milan e Inter pur in presenza di questioni analoghe per la maggior pressione popolare e mediatica (!), forse infiammano la famelica platea degli antijuventini (primo partito in Italia, ben più degli juventini, come erroneamente si afferma frequentemente), ma sono totalmente incompatibili con uno stato civile, in cui vige realmente la presunzione d’innocenza, in cui le sentenze non si prevedono o anticipano, in cui non si pubblicano stralci decontestualizzati solo perché “sono contenuti in un atto conosciuto dagli indagati”, un paese in cui insomma si fa l’opposto di quanto accade dalle nostre parti.

E sia chiaro, non si tratta di noiosi tecnicismi giudiziari, ma di sostanza, perché la pressione mediatica, appunto, ha già dimostrato di poter influenzare le decisioni, selezionando preventivamente buoni e cattivi, condannando anticipatamente i primi e risparmiando i secondi.

E questa procedura, purtroppo, la conosciamo già piuttosto bene.