Il racconto di due giorni di vicende bianconere, durante la più incredibile e assurda delle già da sempre incredibili e assurde pause per le nazionali, può aiutare a capire gran parte della stagione della Juventus.

Allora. Come sempre partiamo da noi, da quello che sbagliamo e potremmo migliorare: ebbene, esattamente come l’annata non soddisfacente dipende in gran parte da noi – allenatore all’esordio, mercato non completo, mille errori individuali, deconcentrazione e così via – anche in questi due giorni ci abbiamo messo del nostro.

In breve: stiamo per affrontare il derby più drammatico di questi anni, dopo una surreale sconfitta interna e subito prima di un altro match importantissimo. Vincere, mai come stavolta, sarebbe fondamentale. Vincere, mai come stavolta, sarà complicato. Lo sappiamo tutti, lo sanno in primis i giocatori. Per questo, prima ancora che per eventuali giudizi morali dai quali è sempre mia cura tenermi alla larga (per le sanzioni opportune ci sono le apposite norme: esiste qualcosa di più insopportabile del diffuso moralismo da social e dei media?), l’ormai famigerata cena prolungata dell’altro giorno è in ogni caso un clamoroso autogol.

Per chi come Arthur non sta bene ed è appena tornato da Dubai, per chi è in (lenta) ripresa come McKennie e soprattutto per chi è il numero 10 della Juve, ormai qui da 6 anni. Perché ci sono giorni e giorni, settimane e settimane, e se tu sei fermo da mesi e in procinto di rientrare, se quest’anno, purtroppo per colpe non tue, non hai potuto onorare il tuo stipendio da 7.5 milioni (meritatissimo, per quanto visto negli anni precedenti), ora che sei lì, a un passo dal rientro, devi stare più attento degli altri. Forse non erano solo loro i giocatori coinvolti, dice qualcuno: nel caso ovviamente peggio ancora, perché se i calciatori sono costantemente controllati, chi partecipa alle serate con loro difficilmente garantirà gli stessi standard di sicurezza.

E ora? Multarli, certo. Tenerli fuori nel derby? Sarà presumibilmente così, ma rieccoci divisi in due fazioni, tra quelli che “ci vuole il pugno duro, un tempo la Juve avrebbe fatto in questo modo per dare una lezione” e gli altri che “paghino la multa e sotto a correre e pedalare, già nel derby ci giochiamo la Champions”. Da tifoso preferirei che ci mostrassero in campo di avere ritrovato lo spirito giusto, ma non posso non comprendere chi la pensa diversamente: il campionato non finisce domani ed è anche attraverso i giusti esempi che si crea un gruppo.

Siamo chiari ancora una volta, dunque: anche in questo caso, i nostri guai dipendono soprattutto da noi.

Chiarito inequivocabilmente questo punto, si può passare al resto. Perché in questi giorni è accaduto anche altro, che si è visto spesso durante l’anno, e qui la Juventus e i suoi giocatori non hanno alcuna responsabilità. E se gli infortuni ripetuti durante l’anno dipendono solo dal caso, se le positività purtroppo colpiscono tutti indistintamente, se il non avere pressoché mai visto la squadra al completo non è insomma colpa di nessuno, di certo la gestione dei viaggi in giro per l’Europa, dei casi e dei rinvii delle partite sono gestiti malissimo dalle autorità internazionali e interne.

Fare viaggiare per il continente un fiume di calciatori per raggiungere le proprie nazionali, imporre di lasciar partire perfino gli infortunati come Demiral – tornato positivo – affrontare inermi i focolai creatisi in pochi giorni nelle varie nazionali è la grande colpa di chi decide e organizza a livello europeo e mondiale.

Se possibile, tuttavia, la gestione interna è ancora più grottesca: vedo e sento esperti di ogni tipo provare a spiegare perché alcune gare vengano rinviate e altre no (con le motivazioni più disparate: percentuale di positivi nel gruppo, varianti più aggressive di un tempo, squadre affrontate la domenica precedente e così via), ma l’impressione è che nessuno abbia la più pallida idea di quali criteri guidino le decisioni delle singoli aziende sanitarie locali. Le varianti ci sono anche ora, ma apparentemente solo in alcuni casi conducono al rinvio. I focolai nelle varie nazionali paiono inspiegabilmente meno pericolosi di quelli nati nelle squadre di club: le Asl campane, che avevano impedito ad alcuni tesserati dell’Empoli di giocare contro il Napoli in quanto avevano viaggiato in aereo con dei positivi, stavolta non sono spaventate dai giocatori che si sono allenati e hanno volato con altri contagiati. Il Sassuolo affronterà in via precauzionale la Roma senza i quattro nazionali reduci dalla nazionale. E così via, nella confusione totale, senza una linea chiara. Prevale la lotteria delle ASL e dominano le singole sensibilità: esattamente l’opposto di quanto dovrebbe accadere in una competizione professionistica.

Così può passare in secondo piano anche che per mesi si ragioni sulle imprecazioni di Buffon nel 2020 (!), fino a squalificarlo ora, ad aprile inoltrato, proprio in vista del derby.

E viene da rimpiangere i bei tempi in cui, per falsare un campionato in quei brutti nove anni che hanno preceduto questo tornato così bello, bastavano photoshop, una testata immaginaria di Bonucci a Rizzoli e due giornalisti imbavagliati in diretta per protesta.