Lazio-Juve vuol dire Sarri contro Allegri. La sfida tra due allenatori diversi, due persone agli antipodi, due protagonisti del surreale dibattito che ha lacerato il tifo bianconero tra risultatisti, giochisti e altre fesserie varie. Per me, semplicemente il match tra gli allenatori di sei scudetti della squadra per cui faccio il tifo: complimenti e rispetto per entrambi, come per chiunque abbia portato qualche titolo alla Juventus.

Allegri arriva, dopo il traumatico addio di Conte, accompagnato da un grado di diffidenza raramente palesato dalla tifoseria bianconera verso un nuovo allenatore: un po’ il distacco con l’amato ex capitano che anche in panchina ci ha riportato a dominare, un po’ lo scudetto vinto proprio contro il Milan di Max – che aveva più campioni, giocava malino e si è perso a parlare per mesi di Muntari invece di capire cosa non stesse funzionando -, fatto sta che con il suo arrivo pensiamo in tanti che il ciclo trionfale si avvii alla conclusione.

Com’è andata, invece, lo sappiamo: uno scudetto dopo l’altro, una Coppa Italia dopo l’altra (ora sembra scontato, ma quanti anni abbiamo atteso prima di vincere la decima?), dei percorsi in Champions sensazionali, con la Juve finalmente tornata a giocare per vincerla e non più solo per passare il girone. In molti dividono l’Allegri pre e post Cardiff, riconoscendogli una capacità di variare il proprio gioco con soluzioni anche offensive prima del giugno 2017, rispetto al mister troppo cauto e prudente delle stagioni successive. Personalmente fatico a scindere: semplicemente, le sue prime Juve erano più brillanti e in crescita, mentre nelle ultime cominciavano a pesare alcuni addii e iniziava a farsi sentire la stanchezza (fisica e mentale) dei tanti anni di trionfi. È arrivato Ronaldo, certo, e infatti vinciamo lo scudetto a febbraio, ma in Champions a mio parere non è l’atteggiamento impaurito a punire la Juve: è la scarsa brillantezza di una squadra stanca, quasi arrivata al capolinea, che viene dominata prima a Madrid dall’Atletico (rimontato nella notte più sensazionale che io ricordi) e poi a Torino dal giovane e talentuoso Ajax di de Ligt, de Jong e compagni.

Se non fosse così, d’altronde, basterebbe l’arrivo di Sarri, bravo tecnico reduce da ottime esperienze a Napoli (dove ha portato il cosiddetto bel gioco) e al Chelsea (dove ha portato un trofeo) per migliorare ulteriormente, tanto più considerato l’acquisto di un altro big del calcio europeo, quel de Ligt che ci ha eliminato solo pochi mesi prima. E invece no, la Juve alterna splendide partite (tra le tante, a San Siro con l’Inter decide uno splendido gol del Pipita) e match totalmente deludenti (a Firenze, i due scontri persi con la Lazio a dicembre, le brutte sconfitte di Verona e Lione). Arriviamo alla sospensione del campionato per i noti motivi di salute pubblica al primo posto ma con un solo punto di vantaggio sulla Lazio. Quando si riparte, vinciamo le prime, ci stacchiamo e per fortuna basta così, perché alla fine fatichiamo terribilmente a fare punti e dominare le partite.

Il passo d’addio è il deludente ritorno contro il Lione, in cui prevaliamo ma con un inutile e insufficiente 2-1. Dovrebbe essere sufficiente tutto questo – le vittorie di entrambi sulla nostra panchina, le difficoltà comuni palesate nelle ultime Champions, il gioco non così diverso tra i due – per porre fine alle sciocche guerre di religione tra i fan di questi due allenatori, di due presunte diverse filosofie. Si tratta di due ottimi tecnici, che sanno spesso tirar fuori il meglio dalle proprie squadre. Nessuno dei due è il diavolo, nessuno dei due è un idealista visionario (entrambi, giustamente, una volta esonerati, si sono goduti il loro stipendio da disoccupati fino all’ultimo euro: non ci sono santi e non ci sono rivoluzionari, in questo mondo che così tanto amiamo).

Onore a entrambi, quindi. Poi certo, al cuor non si comanda: Allegri ai miei occhi rappresenta perfettamente la Juventus da ogni punta di vista. Nelle dichiarazioni, nello stile, nell’aziendalismo sempre dimostrato anche a fronte di campagne trasferimenti non sempre perfette, nel costante rifiuto dell’alibi (e qui la differenza con il rivale è schiacciante). Non sappiamo come andrà in futuro – e ovviamente lo giudicheremo con totale serenità -, quel che è certo è che rimarrà sempre nella nostra storia, presumibilmente come l’allenatore capace di vincere più scudetti (e più coppe Italia) consecutivi.

E allora a sabato, caro Sarri, senza rancore.

A sabato, caro Max, augurandoti che il futuro sia glorioso, almeno in parte, come il già leggendario passato insieme.