Nella stagione del campionato più bello degli ultimi dieci anni accadono cose strane, i ruoli si invertono e si fa fatica a riconoscere i tifosi delle singole squadre.

Per esempio, sui social mi ritrovo invaso da messaggi che chiedono il rispetto per chi vince, per chi è primo con tanti punti di vantaggio. Basta, dicono, con chi cerca scioccamente di alimentare discussioni strumentali, stop con le lagne su questo presunto bel gioco, quando quel che conta è vincere, che forse in fondo è l’unica cosa che conta. Cos’è questa moda di quest’anno – sembrano pensare – di sminuire le vittorie altrui, dopo anni in cui vi stendevate ai piedi dei vincitori elogiandoli senza riserve e riempiendoli di complimenti a fine anno?

E io sarei lì, ogni volta, a un passo dal rispondere, dallo spiegare, ma poi rinuncio perché davvero non saprei da dove partire, senza sembrare offensivo. E davvero non vorrei apparire tale, nell’anno in cui a vincere meritatamente è qualcun altro: non diventare mai come quelli che non sanno mai riconoscere le vittorie degli altri, mi dicevo da oltre tremila giorni, e sarei felice di mantenere la promessa.

Ci sono i miei cotifosi, poi, i quali da qualche anno, dopo ogni partita di Champions – ma non della Juve, eh, qualunque partita – spiegano perché noi abbiamo fallito (è importantissimo utilizzare la parola “fallimento”, più volte possibile, che si vinca lo scudetto o si arrivi quinti) e non la vinceremo mai. È parte, suppongo, del disegno mirabilmente attuato da tempo di dimostrarci esattamente come ci vorrebbero dipingere i nemici: mai in grado di godersi i propri successi, perennemente insoddisfatti, incapaci di esultare.

Regole per diventare così? Dire esattamente le cose che sostengono i tifosi rivali per denigrarci. Se fai 102 punti ma esci col Galatasaray, hai fallito perché in Europa non vai mai avanti. Se vinci scudetto, coppa Italia e arrivi in finale di Champions con Real e Barça hai fallito perché non hai portato a casa il trofeo. Se trionfi a marzo in campionato, hai fallito perché giochi male, lo dicono anche in tv (e ovviamente nel dibattito televisivo con il nostro allenatore reduce da cinque scudetti, si “tifa” per l’opinionista che non ci ha mai amato, pur di poter celebrare il fallimento). E così via, l’importante è stare sempre dall’altra parte, e se l’Ajax mette in difficoltà il Tottenham, “vedete? Col gioco si vince…”, ma se poi passano gli inglesi “non hanno mai rinunciato a giocare, hanno tanti giocatori di talento, ecco come si passa…”. E così via, chiunque passi c’è sempre un motivo per spiegare le proprie ragioni; per questo, se dopo un sensazionale PSG-Bayern, premetti che noi siamo andati malissimo in queste ultime Champions ma affermi che, prescindendo da questo, la competizione è davvero di livello troppo alto per potere credere di essere il favorito solo perché acquisti un (super) giocatore come Ronaldo, eccoli arrivare, indistinguibili con i tifosi avversari, a spiegarci che comunque la Juve, pensate un po’, ha fallito. E non importa se tu lo avevi scritto in premessa, no, c’è fame di ribadirlo, spiegarlo, dichiarare il fallimento e insegnare che non si può difendere la Juve (non sia mai, difendere la propria squadra!), che pure – per una volta – non stavi neanche difendendo.

Anni strani, appunto, e più che pensare a Donnarumma e compagnia, il nostro unico pensiero deve essere quello di evitare il primo fallimento (l’ho scritto, mi raccomando, fateci caso!) di questi dieci anni, cioè l’eventuale uscita dai primi 4 posti che garantiscono il futuro in termini di entrate e di prestigio.

Testa, allora, solo all’Atalanta, una delle squadre più complicate da affrontare in Europa, contro cui però all’andata abbiamo disputato forse la miglior partita dell’anno in termini di intensità e convinzione. Due vittorie alle spalle, una settimana piena per allenarci, l’intera rosa a disposizione: il momento giusto per eliminare gli alibi, allontanare le parole che non ci piacciono e tornare protagonisti nel campionato più bello degli ultimi dieci anni.