Ci sono arrivi e arrivi.

Se scendi dalla tua auto a metà luglio del 2014, puoi trovare dei tifosi che gridano che loro Allegri non lo vogliono, provare a non farci caso e fare una conferenza stampa per dire che sei convinto della squadra e che vuoi migliorare i (super) risultati della Juve di Conte, ma lì fuori non ti credono, non ci riescono proprio. E così, ammettiamolo serenamente, noi che osserviamo quelle dichiarazioni da casa.

Passano gli anni, ma sette sono lunghi, direbbe qualcuno, e infatti a metà luglio del 2021 cambia tutto: in mezzo, hai vinto cinque scudetti e quattro coppe Italia, sei andato via perché nella vita, se vinci in ogni modo (dominando dall’inizio, rimontando dal dodicesimo posto, nascondendolo in hotel e l’ultimo anno chiudendolo a marzo), viene il pensiero che va bene vincere, quello è scontato, ma forse si potrebbe anche osare di più e allora si cerca prima un cambio di gioco senza però grande feeling con l’ambiente (che comunque porta un altro scudetto), poi una scommessa con affetto e intesa senza fine, ma del tutto priva di esperienza (arrivano comunque due trofei) e pian piano emerge il rimpianto per quei successi così apparentemente semplici, forse noiosi, quasi dovuti. Ridateci la normalità, ridateci Massimiliano Allegri e allora eccolo che esce dalla sua auto e partono applausi e cori, richieste di un saluto, un cenno, perché sette anni dopo è tutto diverso.

E devo dire che, da terrorizzato al primo arrivo di Max, da allegriano convinto durante quel ciclo magnifico, ed essendo felice del meritato entusiasmo che accompagna il secondo ritorno, non nascondo che le accoglienze da “profeta” venuto a salvarci mi spaventano un po’.

Allegri è probabilmente la miglior garanzia di ritorno alla normalità, non c’è dubbio, però se continuiamo a legarci così agli allenatori e alle battaglie in loro nome (contiani vs allegriani, sarriani vs allegriani e così via), se pensiamo davvero che tutto dipenda da loro, rischiamo di perdere di vista il punto fondamentale: ci sono da recuperare circa quindici punti a chi ha vinto lo scudetto, non potremo fare un mercato dispendioso (sarà il primo condotto da Cherubini) e sarà un’annata complicata, con i campioni d’Europa Bonucci e Chiellini (ex reietti, eroi per due giorni e poi subito tornati simboli del male, stavolta in qualità di diffusori di pericoli per la sanità pubblica con la LORO decisione di far sfilare il bus scoperto per la città) con un anno in più e tanti allenatori di primissimo livello sulle panchine delle rivali.

Splendido e positivo l’entusiasmo, fondamentale il ritorno ad avere fame, a capire che vincere non è scontato e che, anche se magari annoia un po’, è comunque sempre meglio di perdere. Però attenzione a non commettere di nuovo l’errore fatto fino a poco tempo fa: pensare che con un grande colpo (in passato in campo, stavolta in panchina) si vinca per forza, sia scritto nel destino e se non accadrà – riecco la parola magica – sarà fallimento.

E allora ben vengano gli abbracci e i cori per le star come Dybala (firma presto!) e compagni, viva gli applausi e le richieste di selfie per quelli che di solito ne ricevono meno, come Rugani e De Sciglio, ritorni quel pieno di entusiasmo e voglia di vincere di cui abbiamo tremendamente bisogno. Ma lungi da noi, almeno per qualche anno, quella maledetta voglia di dare tutto per scontato, tipica di chi ha vinto troppo e ricorda poco quanto sia doloroso perdere.

In bocca al lupo, cara Juve. Ci sei mancata e non vediamo l’ora di rivederti, soprattutto dal vivo.

Se Bonucci deciderà di riaprire gli stadi, si intende.