Se è vero come è vero che gli inglesi hanno inventato il football beh, allora cosa c’è di più bello del giocare nel tempio britannico per eccellenza, il teatro mondiale del pallone, Wembley? Uno degli stadi che quando invecchi racconti ai nipotini sai, io quell’erba lì l’ho calcata. Calpestata. Schiacciata. Arata. E, magari, ho pure segnato, a Wembley, un sabato di fine giugno del duemilaventuno.

L’Italia ricomincia il suo cammino europeo proprio da Londra, da quel prato verde che non ha avuto la possibilità di testare altrimenti, dice l’Uefa, l’erba potrebbe rovinarsi. Vabbè, se lo dice l’Uefa allora va tutto bene. Ricomincia contro un’avversaria fastidiosa, tignosa, senza stelle di prima grandezza fatta eccezione per Alaba, difensore eclettico con passo e visione da centrocampista, espressione moderna e futuribile del centrale di una retroguardia complicata da saltare. Ricomincia affrontando una Nazionale allenata dal tedesco di Magonza Franco Foda, papà di Vittorio Veneto, sangue italiano nelle vene, ex libero con una carriera trascorsa tra Germania, Svizzera e, per l’appunto, Austria, dove ha trovato la sua seconda casa a Graz prima di passare, dal 2018, alla Nazionale maggiore.

I biancorossi non sono spettacolari, belli da vedere, ti lustri gli occhi e pensi che spettacolo, ma chissenefrega assai: Franco, oh Franco, ha portato gli austriaci per la prima volta nella loro storia a passare il girone eliminatorio di un campionato europeo di calcio. Prima volta e con l’intenzione, ovviamente, di non fermarsi. L’appetito vien mangiando, luogo comune di cui mi scuso con tutti, ma poco altro può descrivere la sensazione di non appagamento che certamente pervaderà e Foda e i suoi uomini: a questo aggiungete il “piacere”, ovviamente sportivo, di eliminare una vicina di casa scomoda, leggasi Italia, e il mix di ingredienti risulta perfetto.

Perché non stiamo a ciurlare nel manico, chi ha più da perdere in un ottavo tra il molto virgolettato semplice sulla carta – a me la storia della carta sta profondamente immaginate dove –  siamo proprio noi. Partiti con qualche favore del pronostico, pochi in verità, oggi riconosciuti internazionalmente come una delle rappresentative nazionali deputate al successo finale: colpa, o merito, di un girone chiuso senza la minima difficoltà, piallando chiunque ci si ponesse di fronte. E, colpa o merito ulteriore, giocando anche bene per lunghi tratti.

Il tutto schierando venticinque dei ventisei uomini disponibili, unico escluso per adesso è Meret ma, con tutto l’affetto possibile e immaginabile non sapremmo proprio come collocarlo in campo, che se non è un record, forse lo è, poco ci manca. Insomma, in sostanza gli azzurri giocano un copione mandato a memoria e conta relativamente chi scende in campo. Oddio, proprio relativamente no però, innegabile, l’Italia è in grado di supplire all’assenza di tizio o caio sostituendolo senza toccare il meccanismo generale. In quest’ottica ci ritroviamo ad apprezzare il Locatelli o il Pessina di turno, a dare il tempo che ci vuole per recuperare Chiellini, tanto c’è Acerbi.

Così come Florenzi, sostituito molto più che degnamente da Di Lorenzo. Tutto sembra filare a meraviglia tra gli azzurri, il morale è alto, la consapevolezza di poter scrivere pagine importanti nella storia della Nazionale anche: i giocatori sono i primi a sentire l’aria nuova e fresca. Lo si capisce da come, in campo, si cerchino, si aiutino, si coprano a vicenda: manco Alexandre Dumas e il suo tutti per uno, uno per tutti.

Ora, è il primo dentro o fuori che l’Italia affronta: certo, sarà importante capire quanto potrà pesare sui ragazzi di Mancini l’essere favoriti ma, ad ogni buon conto e comunque vada a finire, il lavoro del tecnico di Jesi e della sua truppa è di prim’ordine e, personalmente, trovo questa Nazionale vicina per mentalità e, perché no, spettacolarità, a quella di Azeglio Vicini. Magari con meno tecnica in campo, quella squadra era imbarazzante per campioni schierati, ma con la stessa voglia di divertirsi. E divertire.

Coraggio, Italia, lo spettacolo va in onda.