Non è una sorpresa, dai, ce lo aspettavamo e lo sapevamo tutti, si trattava solamente di definire data e luogo, ma che l’Inter non sarebbe diventata campione d’Italia per la diciannovesima volta nella sua storia credo nemmeno i più acerrimi rivali nerazzurri l’avevano presa in considerazione come possibilità, ma neanche tra quelle remote, che capitano una volta ogni mille anni. L’Inter di Antonio Conte, di Beppe Marotta, di una Proprietà assente a lungo – e non credo proprio per scelta – ma comunque artefice della costruzione di una squadra forte, completa, con interpreti di primo piano messi a disposizione di un tecnico che scegliendo il nerazzurro si era messo in gioco tanto, tantissimo, ha vinto perché è la più forte. Non ci sono né se né ma.

Decisioni arbitrali, congiunture astrali, sfighe, chi più ne ha più ne metta non sono scuse sostenibili: quando chi vince lo fa con così largo anticipo, conquistando quarantuno punti sui quarantacinque disponibili nel girone di ritorno c’è da applaudire, fare i complimenti, leccarsi le ferite e cercare di colmare un gap che oggi sembra enorme tra i nerazzurri e il resto della truppa. La partita di Crotone ha ricalcato quelle giocate da un mese a questa parte dall’Inter: poco appariscente, a prima vista lenta, poi vai a controllare le statistiche e scopri che, in Calabria ad esempio, l’Inter ha tirato in porta venti volte contro tre. Come con lo Spezia o il Cagliari: meno con Verona e Napoli, onestamente. Ci sarà da lavorare per Marotta, Antonio Conte e la Proprietà nella figura del presidente Steven Zhang, ricordiamo Suning prima proprietà straniera a vincere lo scudetto nella storia del calcio italiano: questa squadra è forte, molto forte, negli undici di base, finalmente dopo anni l’Inter ha un undici di base. Ma, per fare meglio in Europa, la vera pecca stagionale, serve quel quid in più che la dirigenza nerazzurra dovrà cercare attraverso scambi, scelte coraggiose di giovani emergenti, rinforzando la panchina senza toccare i titolarissimi.

Finisce il campionato nel senso che finisce la storia per l’assegnazione del titolo. Però, alle spalle dei neo campioni, c’è una ressa tremenda per la conquista dell’Europa dei grandi, quella che porta soldi e notorietà, quella che, se ne stai fuori, tanti piani vanno a farsi benedire. Partendo da un periodo ipotetico, altro non è, nel quale poniamo caso la Lazio batta il Torino nel recupero, ci sarebbero cinque squadre in due punti, con un incrocio di scontri diretti. Milan, Juventus, Atalanta, Napoli e, per l’appunto, Lazio, lotterebbero per tre posti ancora disponibili. Quella che esce meglio dal turno appena concluso è il Milan, vittorioso senza la minima difficoltà contro un Benevento ormai in disarmo, almeno questa è la sensazione avuta guardando la partita. Rossoneri decisi, guidati da un Ibra in grande spolvero, sanniti a capo chino, quasi sconsolatamente rassegnati a un destino grigio e fosco, artefici loro stessi di una caduta libera che ci piacerebbe capire da dove è partita, per sapere dove finirà aspettiamo ancora qualche domenica.

Vince, è vero, la Juventus: ma vince senza convincere nessuno e, il prossimo fine settimana, ci vorrà una Juve diversa, letteralmente, per battere il Milan in uno scontro drammatico sotto certi aspetti. Chi perde rischia, seriamente, l’Europa League. Che non è una condanna, ci mancherebbe, ma l’UEFA l’ha ridotta alla coppetta di riserva: pochi soldi, tanti chilometri, trasferte senza senso ed enorme rimpianto per la coppa Uefa che fu. Lazio spaziale per larghi tratti della partita col Genoa, poi imbarazzante calo di tensione e rischio, serio, di pareggio quando, a dieci minuti dal termine, stavi quattro a uno in pantofole. Calo di tensione che ha pagato a carissimo prezzo il Napoli di Gattuso. In vantaggio, spesso vicino al raddoppio fino al minuto novantatré, con abbiocco generale del reparto arretrato partenopeo e pareggio del Cagliari, in questo momento virtualmente salvo dopo una rincorsa che appariva, fino a un mese fa, disperata.

Anche l’Atalanta, in dieci da metà primo tempo, pareggia consegnando ufficialmente lo scudetto all’Inter in quel di Reggio Emilia, sbagliando un rigore sanguinoso a un quarto d’ora dal termine con Muriel. E proprio il Sassuolo, a questo punto, diventa il primo antagonista della Roma per l’ultimo posto europeo disponibile. I giallorossi sembrano stanchi e sconfortati, ridotti ai minimi termini dagli infortuni: i ragazzi di De Zerbi hanno ancora fiato e un sogno europeo da cullare. In coda, Benevento a parte, sono sempre tre le squadre impegnate nella volata salvezza, forse due se il Toro, stasera, dovesse battere il Parma: comunque Cagliari, Spezia e per l’appunto i granata si giocano la serie A.

Ricordando, domenica prossima, un Benevento-Cagliari da far tremare i polsi.