Dopo che Steven Zhang ha dichiarato che il club da oggi dovrà necessariamente stare attento al bilancio, chiudere in attivo il calciomercato e rinunciare almeno in parte alle velleità che avevano affascinato i tifosi fino allo scorso anno, tira un aria di formidabile realismo.

Lo scudetto vinto permette di avere una dimensione della realtà decisamente meno avvelenata di quanto non fosse fino ad un paio di anni prima e anche la cessione di Hakimi viene in parte accettata ineluttabilmente. È difficile capire la situazione fino in fondo perché la grandeur di Suning si è fermata un anno fa, quando in estate veniva trasmessa sulle reti televisive del gruppo l’immagine di Messi sulla facciata del Duomo, organizzando la fantasia in dibattiti sulle reali possibilità che l’Inter potesse davvero acquistare il fenomeno del Barcellona.

Allo stesso tempo si intrecciavano le tensioni con Antonio Conte e il mercato nerazzurro aveva fatto in tempo, prima della pandemia, ad acquisire l’ultimo grande giocatore, Hakimi, comprato un mese prima che il covid cambiasse il mondo. Da quel momento Zhang ha praticato un silenzio ininterrotto, almeno fino al rientro in Italia.
Dalla Cina dopo lo scudetto è arrivata come un maglio la dichiarazione luminescente di Zhang Jindong: “questo è solo l’inizio”, mentre dall’Italia Steven ha invece portato un carico di realismo che ha piallato ogni prospettiva di alto livello, al punto da indurre Antonio Conte ad andarsene.

A prescindere da quanto resterà in carica, alla famiglia Zhang si chiede solo di essere trasparente anche in futuro, intervallando le proprie comunicazioni con una frequenza decisamente minore rispetto ai sette mesi trascorsi per avere una frase della proprietà.
È lecito attendersi anche una direzione affidabile del club e, se possibile, conoscere le intenzioni per poter rafforzare la sua cifra economica.

Ad alcune domande precise, Zhang ha risposto con diplomazia e grande attenzione, stando ben attento a non entrare nei dettagli, come nel caso dello stadio che il presidente ha definito fondamentale e oggi diventa vitale per poter contare anche su un bene immobile. In più di vent’anni di discorsi sul nuovo impianto sembra sempre di essere ad un passo e poi ci si infila in paludi senza uscita nelle quali fioccano polemiche e zero passi.

Inter e Milan sono gli unici grandi club al mondo a non avere uno stadio di proprietà e questo indebolisce parecchio la capacità di ripresa delle due società. Le milanesi sono da anni in affitto e guadagnano dallo stadio, che pure prima del covid era una voce importante nelle entrate, la metà di quanto incassa la Juventus, la quale con lo Stadium ha circa il 40% in meno di capienza. Ci sarebbe stata una formidabile opportunità di organizzare i lavori per un San Siro in parte abbattuto e rimesso in piedi, come ai tempi di Italia ’90 con lo stadio Marassi, facendo un’operazione simile a quella messa in atto dal Real Madrid, il quale ha rimesso a nuovo il Bernabeu traslocando nel piccolo stadio Di Stefano, complice l’assenza del pubblico.

Erano lavori già previsti e organizzati da tempo ma una politica snella può trovare soluzioni in fretta dove invece da noi prevalgono solo interessi di parte.

Senza stadio l’Inter non potrà mai competere sulla lunga distanza con i Bayern, i Barcellona, i Real, i PSG e le inglesi. Un progetto tecnico parte prima di tutto da investimenti sulle strutture. Il problema di Suning è stato quello di aver acquistato l’Inter che era una macchina molto più pesante di un PSG o un Manchester City di qualche anno prima, con un debito importante e nessun immobile, dunque un indotto inferiore a quello che potenzialmente l’Inter garantirebbe.

Se si spera di rivedere le milanesi in grado di lottare ogni anno per scudetto e Champions, si deve auspicare che questi benedetti lavori per il nuovo impianto partano e si interrompano le chiacchiere. Dopo più di 20 anni è lecito pretenderlo.