Le mille crisi dell’Inter di questi anni si dividono in quelle facili da leggere e altre dalla natura più complessa, dunque più difficile da risolvere.
Attualmente l’Inter è in una strana situazione che non si può definire di crisi, perché la situazione è molto diversa da quelle capitate in passato.

Dopo la sosta per le nazionali, il covid e la quarantena, sono arrivati risultati deludenti che stanno seminando dubbi e creando i presupposti per la terza eliminazione consecutiva dal girone di Champions.
La sconfitta con il Real Madrid poteva anche essere messa in preventivo ma l’Inter aveva rimontato e persino avuto l’occasione per vincerla, invece ha preso un terzo gol in contropiede.
Attualmente l’Inter è ultima nel girone di Champions e al sesto posto in Campionato, ma non è solo il dato oggettivo a innervosire i tifosi (e persino una stampa più velenosa che analitica).

Si tratta di una vicenda che si trascina dalla scorsa stagione, con un allenatore che lamenta pubblicamente cose sotterranee, rinfaccia contrasti con i dirigenti e una marcata delusione umana verso gli stessi. Ad agosto, dopo una finale persa tatticamente, si presenta a Villa Bellini e la società, visto che in questo particolare momento storico ed economico, non può permettersi di esonerarlo e avere a libro paga lui e Spalletti, lo invita a restare “spontaneamente”. Conte non intende dimettersi e rinunciare a tutti quei soldi così resta ma lo fa tenendo il broncio, immusonendosi e spegnendo le polemiche verso la società, al punto tale da presentarsi ai microfoni delle televisioni con l’aria distaccata.

Dal punto di vista comunicativo Conte sterilizza le critiche parlando di lavoro e dettagli, se la prende con i giocatori che sbagliano i gol e i movimenti in difesa, a volte facendo persino i nomi: “avete visto tutti come ha giocato Nainggolan”, “aspetto che in Eriksen si accenda una scintilla”. Parla di tutto e tutti e nel sottotraccia delle sue affermazioni, non si legge alcun dubbio sul suo operato, così si esasperano le argomentazioni che lo qualificano come ossessionato dallo stesso modulo, con il “piacere” masochistico di fare sostituzioni tardive e inutili.

La politica di Conte, la sua cultura è quella di un collettivo che è e sarà sempre più importante di qualunque singolo, a costo di mortificarne le attitudini.
Così l’anno prima Godin è stato messo in panchina e poi venduto, Skriniar sopportato, Eriksen preso di mira e mai messo nel suo ruolo di interno, ma solo come trequartista, D’Ambrosio adattato a terzo dei centrali difensivi, Perisic adattato a quinto di centrocampo o seconda punta, De Vrij, ombra del difensore magnifico visto fino allo scorso anno e che quando è stato messo a destra è andato in crisi, Nainggolan messo in campo per “disperazione” e ora anche Vidal, appena arrivato con la fama di sodale indispensabile al gioco di Conte, del tutto al di sotto del suo standard.

La squadra gioca a tratti un calcio convincente ma al primo errore c’è il panico, mancano le coperture preventive, gli automatismi in grado di intuire e riparare all’errore di un compagno e per questo la squadra prende tanti gol. Di chi è colpa se non del tecnico?
Conte però sceglie di puntare il dito sulla squadra che commette errori e non sembra intuire di essere parte del problema.

Dopo che è trapelata la voce di una cessione di Eriksen già a gennaio, riuscendo a ripetere stolidamente un errore che l’Inter commette ciclicamente, con giocatori forti ma non inquadrabili in schemi, ora l’ambiente sta già mettendo in discussione persino Hakimi, autore contro il Real di un retropassaggio ritenuto sciagurato, anche se a dirla tutta c’era un fallo di Mendy, ravvisato da tutte le moviole e non dall’arbitro francese e tantomeno dal Var che viene usato in modo discrezionale rendendolo dannoso.

Difficile dire se dopo la partita con l’Atalanta, al ritorno in campo dopo la sosta per le nazionali che causerà altri grossi problemi, l’Inter e Conte riusciranno a rinsavire iniziando un percorso netto.
So solo che dopo sei giornate di campionato e tre di Champions l’Inter è criticabile ma non condannabile e può ancora ribaltare il tavolo.