Antonio Conte è di sicuro un grande allenatore, ma i fatti dicono – circa un anno e mezzo dopo il suo insediamento – che alla guida dell’Inter non l’ha ancora dimostrato. Apparentemente è ancora in tempo, diciamo apparentemente perché se vincesse lo scudetto sarebbe un’enorme soddisfazione – ora è un obbligo – che però non smonterebbe un paio di cocenti delusioni. Conte è riuscito nella non semplice impresa di farsi eliminare per due stagioni di fila dalla fase a gironi della Champions, prima dal Barcellona B, poi da Shakhtar e Borussia Monchengladbach, che valgono il 30 per cento (forse) del potenziale dell’Inter. Non entriamo nella vicenda Eriksen, ha poco senso ormai. Neanche nel discorso dorato del suo ingaggio da 12 milioni a stagione: se hanno dato quei soldi a Conte, evidentemente lo ritenevano giusto. Zhang, Marotta e Ausilio hanno poco da rimproverarsi, Conte dovrebbe ammettere di essere stato accontentato addirittura nei dettagli. Aggiungiamo: se qualsiasi allenatore, anche di un top club, avesse il 50 per cento di quanto ha ottenuto Conte, firmerebbe con il sangue.

Conte dovrebbe prendere esempio da Zinedine Zidane: sapete quanti euro ha speso il Real sul mercato? Zero. Eppure Zizou non ha pianto, non ha chiesto alibi, non ha parlato di arbitri, ha lasciato la spocchia a casa e intanto ha fatto il minimo sindacale portando il Real (dicono il peggior Real degli ultimi 20 anni) agli ottavi di Champions. Conte neanche quello, neanche l’Europa League, neanche… nulla. Se Conte avesse allenato il Real ottenendo quanto ha prodotto (si fa per dire) nella campagna europea interista, cioè nulla, sarebbe stato scorticato vivo da quotidiani, tv, radio, siti, blog, amici degli amici, conoscenti e intrusi.

Invece qui, ecco la cosa più grave: Conte, che ha abbondantemente perso in campo, riesce a farlo anche fuori. Si presenta ai microfoni come se avesse conquistato il mondo e il tesoro più prezioso, invece è fuori da tutto. Non accetta una domanda, sfida allenatori – oggi opinionisti – che hanno vinto (loro sì) in Europa senza fare chiacchiere e collezionando alibi, si mette di traverso dinanzi a una signora professionista che con educazione e garbo gli chiede “come mai?”. Conte senza limiti, anche quando parla del piano B: “Ce l’ho ma non ve lo dico…”. Sembrano i dispettucci di quell’amichetto che ti ha rubato le caramelle nel cortile, in un pomeriggio di relax, e tu metti il broncio e gli rispondi male. Non entriamo nell’aspetto tattico, il solito 3-5-2, i cambi fotocopiati, un mega organico non sfruttato, la prudenza in Champions anche quando bisognerebbe giocare un quarto d’ora con quattro punte – si chiama disperazione – soltanto per tutelare certi equilibri.

Quando hai fatto saltare altri equilibri, quelli di un club che per nessun motivo al mondo può permettersi di restare in mutande per due anni di fila, l’Europa questa sconosciuta, preso a schiaffi da squadre che schiererebbero da titolari almeno quattro riserve nerazzurre. Anche su questo aspetto sorvoliamo, è l’evidenza. Ma Conte dovrebbe almeno sapere che perdere sul campo (voce del verbo perdere, un’abitudine fuori dalle competizioni italiane) è dura, molto dura. Perdere fuori dal campo, con risposte oltre i limiti consentiti, è peggio. Se vinci una Champions da allenatore è il top, purtroppo la storia non parla per Conte. Ma rispondere con cortesia vale più di una Champions, a costo di non alzarne una per tutta la carriera.

Ci spiace che, neanche a freddo dopo l’eliminazione da tutta l’Europa (quella principale e quella secondaria), Conte non abbia memorizzato i suoi errori mediatici. Quelli in campo sono sotto gli occhi di tutti, quelli fuori dal campo sono una mancanza di garbo e di rispetto nei riguardi di chi gli pone una domanda con molta educazione. Quella domanda puoi non condividerla, ma non irriderla. Se gli altri ti rispettano, tu devi fare la stessa cosa. Invece, anche 48 ore dopo e alla vigilia della trasferta di Cagliari (servita poi a ritrovare un sorriso), Conte è tornato sugli argomenti attribuendo tutte le colpe e le responsabilità agli altri e nessuna a se stesso. Rispondendo a una domanda è riuscito a dire “non prestiamo il fianco a chi sta godendo”, una frase che andrebbe respinta in tackle scivolato e in modo molto fermo, perché è un linguaggio dei peggiori bar e dei social più beceri.

Chi starebbe godendo in questo momento? Quelli che vogliono bene all’Inter, quelli che pensano agli enormi investimenti di Zhang in un anno e mezzo per accontentare Conte senza grandi ritorni, non stanno sicuramente godendo. E questo, soltanto questo, a Conte deve interessare. Come quando parla del piano B che non svela “per fare in modo che gli altri non lo scoprano”, anche qui ci sarebbe molto da ridire. Più che non svelarlo, Conte dovrebbe utilizzarlo. E invece il nulla, sempre lo stesso sistema: il 3-5-2 che al massimo passa, è passato, attraverso il 3-4-1-2 per un tentativo abortito di inserire Eriksen. Stop. A Cagliari una leggera inversione di tendenza con la difesa a quattro, aspettando continuità. Il piano B è quindi un pura declamazione verbale, servono i fatti e i fatti non ci sono. Il resto conta zero.

Antonio Conte fin qui ha perso due volte. In campo, raccogliendo zero titoli (le finali e i secondi posti non contano, sono le medaglie al petto dei perdenti), a dispetto di un budget infinito messo a sua disposizione. E un budget infinito non prevede un infinito processo di crescita, come sottolinea Conte, ma fatti, vittorie, un trofeo in bacheca. Almeno uno, invece niente. Ecco perché vincere il campionato, con quel lussuoso organico a disposizione, è un dovere assoluto. Sperando che Conte sappia interpretare le conferenze con il rispetto che si deve in un civilissimo confronto, lo stesso che lui pretende e che dovrebbe dare. Altrimenti, continuerebbe a perdere due volte. In campo (per ora) e fuori. Cagliari sia l’inizio di una normalità che mai l’Inter ha avuto. E la normalità non la si ripristina a chiacchiere, ma con i fatti. Gli stessi fatti che Conte rinvia da ormai un anno e mezzo a questa parte, usufruendo della pazienza di un club inappuntabile e che continua a supportarlo. Con i fatti, sì, e non a parole.